Salvati dalla Sua Vita by Marco Galli - HTML preview

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CAPITOLO 19

LA REALTÀ DELLA TRINITÀ

 

 

 

Per noi c’è un solo Dio,

il Padre, dal quale sono tutte le cose,

e noi viviamo per lui,

e un solo Signore, Gesù Cristo,

mediante il quale sono tutte le cose

e mediante il quale anche noi siamo.

Prima lettera ai Corinzi 8:6

 

 

 

In questo capitolo cercheremo di comprendere la realtà della Trinità, che è fondamentale per giungere alla conclusione del nostro studio. Infatti, non è possibile tracciare una teoria della salvezza che prescinda dalla natura intrinseca di colui che l’ha realizzata. A riprova di ciò, durante i primi secoli della Chiesa, il dibattito teologico fu quasi interamente centrato sulla natura di Cristo, piuttosto che sulle modalità con cui egli aveva operato la salvezza. Ciò significa che i Padri della Chiesa avevano ben compreso che più importante del “come” eravamo stati salvati, era la natura di colui che era stato l’artefice di tale salvezza. In questo capitolo e in quello conclusivo scopriremo in realtà che il “come” e il “chi” della salvezza non sono argomenti distinti, ma coincidenti, ovvero che Dio ci salva in virtù di chi egli è.

 

 

19.1. La Trinità

 

È alquanto complicato cercare di “spiegare Dio”, di delinearne la natura e definirne i contorni, la nostra comprensione e il linguaggio limitati di cui disponiamo non ci consentono di avvicinarci pienamente a questo mistero incommensurabile. Tuttavia, è nostro dovere provarci, mettendo insieme le tracce che il Signore ha lasciato nella sua parola. In fondo, Gesù disse a Filippo: “Chi ha visto me, ha visto il Padre.528

Tutti dovrebbero conoscere l’idea generale della Trinità, secondo la quale a un unico Dio indiviso, corrispondono tre persone distinte: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tutte e tre le persone sono “consustanziali”, ovvero condividono la stessa natura, e sono eterne. Il Figlio è generato dal Padre, ma non v’è mai stato un istante in cui egli non sia esistito, sin dall’eternità. Inoltre, la relazione tra il Padre e il Figlio genera lo Spirito Santo, ed essi sono a loro volta da esso generati; anche lo Spirito Santo esiste dall’eternità, poiché Padre e Figlio sono in relazione da sempre. Quindi, Padre, Figlio e Spirito Santo sono un’unica realtà in tre distinte entità, ciascuna con il proprio ruolo, in una relazione reciprocamente generatrice. Ho cercato di rappresentare graficamente l’idea del Dio Trinitario e questo è il risultato ottenuto (in cui le frecce rappresentano questa relazione generatrice):

 

Image

 

Per prima cosa, possiamo notare che tutte e tre le persone condividono la stessa natura, rappresentata dall’ombreggiatura grigia che è lo Spirito Santo di Dio, il quale riempie ogni spazio; per tale motivo Dio, nella sua interezza, “appare” come Spirito.

 

Giovanni 4:24 Dio è Spirito, e quelli che lo adorano bisogna che lo adorino in spirito e verità.

 

Lo Spirito, che è la natura di Dio, è la sostanza di cui sono fatti sia il Padre che il Figlio; questa sostanza è l’amore generato nella relazione, poiché Dio è amore.

 

1 Giovanni 4:16 Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

 

Ne consegue che la natura intrinseca di Dio è costituita dall’amore stesso che egli genera; il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Ora, non esiste amore senza che ci siano almeno due soggetti che si amino, questo lo comprendiamo bene. Questi due soggetti sono il Padre e il Figlio; il Padre per amore genera il Figlio e il Figlio ricambia il Padre con eguale amore. Ne discende che Dio è formato da tre entità distinte in comunione tra loro: colui che ama, colui che è amato e risponde all’amore, e infine l’amore stesso che è generato nel seno di questa relazione. L’amore originato da questo infinito scambio è ciò che costituisce la vita sia del Padre che del Figlio e conferisce l’identità a Dio; a sua volta, lo Spirito effonde amore sul Padre e sul Figlio e in tal senso li genera nella loro essenza d’amore.

 

Il Verbo è chiamato anche Figlio perché riceve l’essenza divina, così come ogni figlio riceve dal proprio genitore la natura umana del suo essere, la stessa di chi lo ha generato. Essendo espressione perfetta e totale della prima persona della Trinità, anche la seconda persona è amore che, a sua volta, corrisponde perfettamente il Padre con lo stesso dono totale di sé. Questa relazione di intima unità basata sul donarsi reciproco contiene a sua volta un qualcosa di divino che è una persona della stessa essenza divina delle prime due. È l’amore personificato: lo Spirito Santo.529

 

Dio, pertanto, è una relazione tridimensionale, una specie di “vortice d’amore” (che nel nostro disegno abbiamo rappresentato con le frecce) costituito da una natura che è amore, generatrice infinita d’amore. Il Padre è amore per natura, e genera il Figlio che è della stessa natura d’amore; la loro relazione genera lo Spirito che è amore, ma a loro volta sono essi stessi generati dallo Spirito, poiché la loro natura è costituita d’amore. È un “loop” infinito, che sfugge alla nostra comprensione proprio perché è eterno.

 

Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. […] La prova più forte che siamo fatti a immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati.530

 

La fede trinitaria testimonia la realtà divina come vivente, attiva, dinamica e relazionale. La relazione è il cuore dell’essere di Dio. Uno ma riccamente differenziato, l’essere di Dio è in comunione. Dio vive e agisce nell’amore reciproco e auto-donante.531

 

Non potrebbe esistere un Dio che non fosse amore e che non fosse formato da tre distinte entità, come abbiamo cercato di rappresentare. Infatti, se esistesse un Dio costituito da un’unica entità, esso sarebbe statico, incapace d’amare, infatuato di sé stesso e in uno stato d’eterna auto-contemplazione narcisistica; questo è il Dio aristotelico, ma anche il Dio dell’Islam, ad esempio. Ugualmente, se esistessero solo due entità distinte tra loro ma che non fossero in una relazione d’amore reciproco, finirebbero per entrare in “competizione”, si annichilirebbero a vicenda o una schiaccerebbe l’altra ritornando al caso precedente; questo è l’universo dualistico rappresentato da alcune religioni orientali (l’idea taoista di yin e yang ad esempio). Nel primo caso (il Dio solitario) noi non esisteremmo poiché questo Dio non avrebbe alcun interesse se non in sé stesso (o al massimo potremmo essere il suo giocattolo). Nel secondo caso (il Dio duale) noi non esisteremmo poiché egli sarebbe impossibilitato ad agire, in quanto a ogni azione corrisponderebbe una reazione di forza uguale e contraria e tutto si ridurrebbe al nulla o a un continuo alternarsi di sterile creazione e distruzione.

 

La trinità è completamente diversa. Invece dell’egocentrismo, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono caratterizzati nella loro stessa essenza dall’amore reciproco. Nessuna persona nella Trinità insiste che gli altri ruotino intorno a lui; piuttosto ognuno di loro gira e orbita volontariamente intorno agli altri. [...] Se questa è in definitiva la realtà, se questo è il Dio che ha fatto l’universo, allora questa verità irrompe ed esplode con implicazioni gloriose che modellano la nostra vita. Se questo mondo è stato fatto da un Dio trino, le relazioni d’amore sono l’unica cosa che conta veramente nella vita.532

 

 

19.2. Cos’è l’amore?

 

Nel precedente paragrafo, abbiamo citato innumerevoli volte la parola “amore”, quale essenza e sostanza di Dio stesso; a questo punto è necessario dare una definizione di cosa sia l’amore:

 

  • amore è il dono di sé per il bene dell’altro

 

Il Padre dona tutto sé stesso per glorificare il Figlio; il Figlio dona tutto sé stesso per onorare il Padre; questo continuo donarsi reciproco dà vita a una terza entità/persona che è lo Spirito stesso del donarsi. Ciascuna delle due persone Padre e Figlio è interessata unicamente al bene dell’altra, e ciò genera uno Spirito che è esso stesso generatore d’amore per l’una e per l’altra. Come detto, non esiste un momento nell’eternità in cui le tre entità non siano esistite simultaneamente, poiché esse sussistono in un rapporto di reciprocità da sempre. Quindi, il Padre è amore poiché dona tutto sé stesso, il Figlio è amore poiché dona tutto sé stesso, e lo Spirito Santo è amore poiché è il continuo e inesauribile dono d’amore tra il Padre e il Figlio, ed egli ha come unico desiderio quello di donare tutto sé stesso al Padre e al Figlio. Ne consegue che, se la sostanza di cui Dio è creato è amore, la vita eterna (non creata) di Dio, ciò che scorre nelle sue “vene”, è amore.

 

  • Spirito di Dio = Amore = Vita eterna di Dio

 

Come già accennato, potremmo dunque definire Dio una specie d’inesauribile “vortice d’amore”; e qui entriamo in gioco noi. Cosa potrebbe mai fare un Dio che è nella sua natura, essenza e sostanza, interamente e unicamente generatore d’amore, interessato solamente a donare tutto sé stesso? Non potrebbe fare altro che plasmare ulteriori creature simili a lui, che possano e vogliano ricevere questo dono e partecipare a quella che C. S. Lewis definì una “danza”.533 Per questo motivo, abbiamo rappresentato nel nostro grafico delle frecce che si muovono verso l’esterno, poiché l’amore è aperto, non è esclusivo, ma inclusivo, e gioisce nella condivisione e nella partecipazione:

 

È la comunione, dunque, l’essenza del Dio trinitario e non solo il Dio trinitario è comunione ma anche invita alla comunione poiché l’unità trinitaria non è un’unità esclusiva ma inclusiva.534

 

E così Dio creò i cieli e la terra, e tutte le creature, affinché potessero partecipare a questo vortice cosmico d’amore, come spiega ulteriormente Lewis:

 

Dio è amore, ed è un amore che agisce tramite gli uomini – specialmente tramite l’intera comunità dei Cristiani. Ma questo spirito d’amore è, da tutta l’eternità, un amore che fluisce tra il Padre e il Figlio. Ebbene: che importanza ha tutto questo? Un’importanza maggiore di qualsiasi altra cosa al mondo. Tutta la danza, il dramma, il disegno di questa vita tripersonale deve svolgersi dentro ciascuno di noi; o (per dirla all’inverso) ciascuno di noi deve entrare in quel disegno, prendere il posto in quella danza. Non c’è altro modo di giungere alla felicità per la quale siamo stati creati.535

 

Requisito essenziale, affinché questi esseri creati possano partecipare alla meravigliosa danza d’amore, è la libertà di scegliere di parteciparvi o meno, poiché capiamo bene che l’amore, per essere tale, non può essere imposto, ma solo liberamente scelto. Così Dio si ritira parzialmente, fa spazio in sé stesso, come la donna fa spazio in sé per dar vita a una nuova creatura; realizza un luogo in cui il bene e il male risultino possibili, affinché sussista la libertà di scelta, per mezzo della quale si concretizza il grande spettacolo dell’amore nelle relazioni tra gli uomini.

 

Dio come Trinità non è un’unità ma un’unione; non è amore di sé ma amore condiviso. Dio è comunione e come Trinità è mutualità, auto-donazione, “io e tu”. Se questo è vero di Dio come Trinità, allora è vero anche della persona umana creata a immagine trinitaria di Dio. Il mio essere umano è anche un essere relazionale. La mia personalità si realizza nella relazione e nella comunità. Sono veramente personale e veramente umano solo nella misura in cui mostro amore agli altri, nelle relazioni “io-tu”. La mia salvezza come persona umana a immagine di Dio può essere raggiunta solo in unione con altre persone, e attraverso la mutualità e l’incontro interpersonale, come espresso nella vita e nella missione di Gesù.536

 

In questo spazio percepiamo la presenza di Dio, tuttavia, non ne abbiamo conoscenza diretta, paradossalmente proprio perché ne siamo completamente immersi, allo stesso modo in cui il bimbo nel ventre materno percepisce la vita intorno a sé, sebbene non sia in grado di comprenderla. Conseguentemente, senza esserne coscienti, ci sentiamo inesorabilmente attratti nel perseguire (non sempre in maniera consona) l’amore di relazione, poiché in realtà esso costituisce l’origine, l’essenza, il tessuto e lo scopo unico di tutta la creazione.

 

 

19.3. L’amore nella concezione ebraica

 

A ulteriore supporto di quanto abbiamo sinora visto, possiamo fare riferimento al concetto ebraico d’amore poiché, non dimentichiamolo, ogni qual volta Gesù fece riferimento all’idea e nella Bibbia troviamo l’espressione “amore”, dobbiamo depurarla dal significato che ha per noi oggi e trasporla nel contesto in cui tale parola venne usata. La parola ebraica per amore era ahavah, la cui radice hav significava dare, pertanto, amare era qualcosa che implicava il donare. A differenza del nostro modo di pensare, in cui l’amore è un’emozione o comunque un sentimento di profondo affetto, per gli Ebrei, amore ahavah era mettere sé stessi a disposizione della persona amata, agendo con fedeltà e lealtà nei suoi confronti. L’amore ebraico era un impegno basato su un patto di fedeltà reciproca, per questo motivo le parole fedeltà emunah e amore ahavah, venivano quasi a sovrapporsi nel significato. L’amore nei confronti di Dio era concepito come un impegno nel rispettare il patto da lui stabilito, rimanendo fedeli a esso, senza sviarsi nell’adorazione di altri dèi. L’amore sponsale era fedeltà al coniuge, rifuggire l’adulterio e dedicarsi lealmente nel perseguire il bene dell’altro. L’amore non era pertanto solo un sentimento, come lo intendiamo noi oggi, era piuttosto un adoperarsi fedelmente e lealmente per custodire, coltivare e nutrire un’alleanza tra due persone. Le emozioni e i sentimenti eventualmente seguivano e maturavano col tempo, non erano né l’incipit, né tantomeno l’obiettivo della relazione, il cui unico scopo era la protezione e l’edificazione della persona amata.

 

L’ebraismo intende l’amore come un’alleanza – l’integrazione dinamica e persistente delle emozioni/virtù interiori di affetto, empatia, desiderio, brama e gioia con atti di tzedek (giustizia), shalom (salute/integrità) e berakhah (benedizione/benessere). […] Un tale amore alleanza è dinamico e persistente. L’amore a volte viene frainteso come una moda o una passione passeggera. O peggio ancora, può essere preso come una fredda valutazione intellettuale di valore. Tra il calore inceneritore della passione e il freddo gelido della valutazione, non c’è spazio per un amore che vive. L’amore ebraico è vivo, il che significa sempre aperto al cambiamento, sempre in relazione. Come ci ricorda il filosofo Franz Rosenzweig: “L’amore porta in vita ciò che è morto intorno a noi.”537

 

Un’altra parola ebraica fondamentale, che veniva utilizzata per descrivere il carattere e la natura di Dio, era hesed, tradotta in italiano con misericordia o bontà. Questa traduzione è piuttosto limitata, poiché in realtà hesed è una fedeltà stabile, solida come la roccia, in una relazione d’amore. Non dipende dalla risposta della persona amata, ma è fondata sull’inamovibile risoluzione di agire secondo lealtà.

 

Basato su una relazione d’alleanza, hesed è una fedeltà ferma, solida come una roccia, che dura per l’eternità. [...] Hesed è un amore così duraturo che persiste al di là di ogni peccato o tradimento per riparare le inimicizie ed estendere graziosamente il perdono: “Il Signore infatti non respinge per sempre, ma se affligge, ha pure compassione, secondo la sua immensa bontà [hesed]” (Lamentazioni 3:31-32). Come altre parole ebraiche, hesed non è solo un sentimento ma un’azione. Interviene a favore dei propri cari e viene in loro soccorso. Poiché hesed è spesso attivo, viene tradotto come “misericordia” o “bontà”, ma nessuna di queste parole trasmette pienamente che hesed agisce per una fedeltà incrollabile anche verso i più immeritevoli.538

 

Come abbiamo visto, il profondo significato di queste parole ebraiche utilizzate per descrivere l’amore era il donare tutto sé stessi, agendo in maniera fedele per il bene altrui, nel leale rispetto della persona amata. Questa è la realtà dell’amore, questo è quanto voleva comunicarci la Bibbia in merito all’intima natura di Dio. Vedremo nel prossimo capitolo che la fedeltà e il dono totale di sé da parte di Dio costituiscono effettivamente tutta la salvezza.

 

 

19.4. La croce come risultante dell’amore

 

Abbiamo visto che Dio è amore e che l’amore è il completo dono di sé stessi per il bene dell’altro, nella fedeltà e nella lealtà. In cosa possiamo ammirare la suprema manifestazione dell’amore, ovvero dell’irrevocabile e assoluto atto di donare la propria vita per il bene altrui? Lo possiamo ovviamente contemplare nell’evento della croce, sulla quale Gesù donò tutto sé stesso per amore nostro e del Padre. La croce, dunque, fu la suprema manifestazione della natura di Dio, la rivelazione della sua stessa essenza; se vogliamo capire chi è Dio, scrutare nel suo cuore, comprendere come agisce e sondare il suo Spirito, dobbiamo fissare il nostro sguardo su Gesù crocifisso. Egli è la piena e perfetta rappresentazione della natura di Dio, che svuota tutto sé stesso (kenosi) e si lascia umiliare fino all’estremo per amore delle sue creature. Non c’è manifestazione più potente della vocazione intima di Dio che non sia Gesù sulla croce, tanto che qualcuno disse che c’era una croce piantata dall’eternità nel cuore di Dio prima ancora che sulla collina del Golgota.539

Gesù salva in virtù della croce non perché con essa abbia risolto una qualche sorta di compensazione giuridica o transazione cosmica; Gesù salva non per la croce in sé, ma per l’amore che ne scaturisce; è il dono totale di Gesù, della sua vita, della sua stessa natura che è amore, ciò che salva. Tanto più grande l’amore, quanto più grande il sacrificio cui uno è disposto a sopportare; a un amore perfetto corrisponde un sacrificio totale. L’amore si misura infatti in termini di ciò che siamo disposti a perdere, è il “prezzo” che siamo pronti a sopportare per il bene altrui. In Gesù sulla croce, Dio ha deciso di rinunciare alla sua giustizia e di subire ogni ingiustizia; ha rinunciato al proprio onore e dignità per sopportare il disonore e lo scandalo; ha rinunciato alla forza e al potere per abbracciare la debolezza e il fallimento, e infine ha deposto completamente la propria vita.

 

Giovanni 15:13 Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici.

 

Il sacrificio di Gesù non è un pagamento, una compensazione o una soddisfazione effettuata nei confronti del Padre, ma è l’assoluto e incondizionato dono di Dio che, in Gesù, consegna tutto sé stesso all’umanità smarrita. Dio non è diviso, non c’è un Padre che richiede giustizia, un Figlio che offre misericordia e uno Spirito Santo che cerca di bilanciare l’equazione; ma è la Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, a offrire tutta sé stessa agli uomini nell’evento della croce, poiché tutti e tre ne soffrono, sebbene in maniera differente:

 

Gli attributi divini sono posseduti in comune da tutte e tre le persone: tutte sono sante, tutte sono amorevoli, tutte sono sagge e potenti. Allo stesso modo, un’azione di Dio non può essere limitata a una delle tre persone. Tutti gli atti del Dio trino sono indivisibili. Le persone della Trinità non operano indipendentemente. Ogni atto di Dio è sempre l’opera unica di tutta la Trinità.540

 

Non c’è una giustizia di Dio da bilanciare con la sua misericordia, perché la natura di Dio è hesed, misericordiosa. Il sacrificio di Gesù non è qualcosa che dal basso sale verso l’alto come compensazione, ma è dono totale e incondizionato del Dio misericordioso, che procede dall’alto verso il basso.

 

L’espiazione (riconciliazione) non è un sacrificio a Dio che soddisfa la necessità di Dio (che Dio non ha bisogno di sacrifici è stato stabilito già dal Salmo 50). L’espiazione illumina la verità che l’umanità ha soppresso (Romani 1:18), verità che aiuta (o permette) ai peccatori di vedere chiaramente la misericordia accogliente di Dio. Quest’illuminazione rende possibile la riconciliazione con Dio – non dal lato di Dio (Dio ha sempre accolto i peccatori) ma dal lato umano (quando vedremo con chiarezza saremo liberati dalla nostra paura di Dio che porta all’ingratitudine e alla fiducia negli idoli invece che in Dio).541

 

La croce è l’inevitabile “cortocircuito” di quest’amore disceso dal cielo, nel momento in cui esso entra in contatto con il male del mondo; è il prezzo che degli uomini malvagi hanno fatto pagare a Dio per essere rimasto fedele a sé stesso e alla propria natura. La croce è quindi la conseguenza dell’egoismo che si cela nel cuore di molti uomini, in risposta all’azione dell’amore, che è invece dono totale di sé. Essa manifesta l’orrore del male negli uomini applicato a Dio, ma allo stesso tempo offre tutto l’amore di Dio a quegli stessi uomini, amore che è in grado di vincere il cuore dei peccatori ed è capace di solidarizzare con le vittime di ogni peccato.

Non dobbiamo infatti dimenticare che la croce non è solamente dono d’amore per i peccatori, ma anche solidarietà con le vittime di quegli stessi peccati. Il male non è qualcosa di astratto, il più delle volte a un carnefice corrispondono una o più vittime. Quando immaginiamo la croce, pensiamo sovente alla redenzione dei peccatori, ma spesso ci dimentichiamo delle loro vittime. Ebbene, l’evento della croce è Dio che partecipa, che prende parte alle sofferenze umane; non è un Dio indifferente, ma uno che conosce il dolore, l’abbandono, la vergogna, il disprezzo e per questo può essere solidale con tutte le vittime di ogni abuso e di ogni ingiustizia. Se da un lato lascia ai malvagi la libertà di compiere il male, pur dando loro la possibilità di redimersi, dall’altro lato non abbandona coloro i quali quel male lo subiscono, perché lui è un Dio con noi, in ogni circostanza, uno che capisce la sofferenza. Come disse Jürgen Moltmann, un Dio incapace di soffrire sarebbe senza amore e più povero di qualsiasi uomo:

 

Un Dio che non può soffrire è più povero di qualsiasi uomo. Perché un Dio incapace di soffrire è un essere che non può essere coinvolto. La sofferenza e l'ingiustizia non lo toccano. E poiché è così completamente insensibile, non può essere colpito o scosso da nulla. Non può piangere, perché non ha lacrime. Ma colui che non può soffrire non può nemmeno amare. Quindi è anche un essere senza amore.542

 

 

19.5. Conclusione

 

In questo capitolo abbiamo visto quale sia la natura di Dio e come essa abbia a che fare con la sua identità trinitaria. È importante sottolineare che, quando diciamo che Dio è amore, non stiamo facendo riferimento a qualche sorta di nobile sentimento, stiamo piuttosto parlando della sua assoluta e totale inclinazione a donare sé stesso per l’edificazione e la glorificazione delle sue creature. Dio non ha risparmiato e non risparmierà mai nulla pur di guadagnare le sue creature alla vita, affinché dive