Salvati dalla Sua Vita by Marco Galli - HTML preview

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CAPITOLO 1

LA TEORIA DELLA TRASFORMAZIONE MORALE

 

 

 

Non conformatevi a questo mondo,

ma siate trasformati

mediante il rinnovamento della vostra mente,

affinché conosciate per esperienza

quale sia la volontà di Dio,

la buona, gradita e perfetta volontà.

Lettera ai Romani 12:2

 

 

 

Sulla base di alcuni studi recenti che hanno condotto a una profonda riconsiderazione dell’antico contesto culturale ebraico, un’ideale di trasformazione morale dell’uomo, come conseguenza della vita, predicazione, morte e risurrezione di Gesù, sembrerebbe essere stata l’interpretazione sulla salvezza predominante tra le prime comunità cristiane, le quali ritenevano che la missione di Gesù fosse finalizzata a produrre un radicale rinnovamento morale negli uomini e nella società come conseguenza dell’avvento del Regno di Dio. Questa teoria, che è stata definita dai suoi autori “Trasformazione Morale”, è stata elaborata recentemente, e ha il merito di riconsiderare la prospettiva di come le antiche comunità cristiane, di tradizione ebraica, avrebbero potuto intendere il messaggio del Vangelo, prima delle contaminazioni culturali con le quali lo interpretiamo in epoca moderna. Non è pertanto una teoria formulata da teologi antichi, come nel caso di diverse teorie che vedremo successivamente, ma è stata dedotta da un’approfondita analisi documentale, storica, sociale e culturale effettuata da alcuni studiosi contemporanei, sulla base di testi cristiani dei primi secoli.6

 

 

1.1. La teoria della Trasformazione Morale

 

Secondo questa teoria la morte di Gesù e la conseguente risurrezione erano considerate, dalle prime comunità cristiane, principalmente in termini di martirio (testimonianza) esemplare da cui trarre ispirazione, motivazione e fiducia. L’opera salvifica di Gesù non era però limitata all’evento della crocifissione, ma si era manifestata in tutte le parole e gli insegnamenti che egli predicò e nell’esempio di vita che diede. La croce fu quindi la conseguenza del messaggio rivoluzionario portato da Gesù; afferma uno studioso: “La croce è semplicemente una ramificazione della vita morale di Gesù. Egli venne crocifisso come martire per la radicalità dei suoi insegnamenti e dell’esempio morale”.7

 

Consideravano Gesù come maestro, profeta e leader designato da Dio, che morì come martire per insegnare loro un nuovo stile di vita. Il loro paradigma di salvezza era incentrato su questo stile di vita insegnato da Gesù e sul seguire fedelmente il suo esempio e i suoi insegnamenti.8

 

La risurrezione di Gesù veniva considerata come la conferma della veridicità di quanto da lui predicato e attestava l’accettazione da parte di Dio della sua dottrina; in questa prospettiva, coloro che avessero seguito i suoi insegnamenti, avrebbero anch’essi ottenuto la stessa risurrezione e un giudizio finale positivo. In tal modo, la morte da martire e la conseguente risurrezione di Gesù servirono per infondere nei fedeli coraggio, speranza e fiducia nel far fronte alle persecuzioni.

L’esortazione a fuggire il male (il peccato) e a praticare il bene (la giustizia) era predominante in questo periodo, anche sull’onda di quanto predicato precedentemente da Giovanni il Battista; il giudizio finale di ciascuno sarebbe stato determinato alla luce di quanto di buono o di malvagio compiuto in vita. Particolare enfasi veniva posta sugli insegnamenti morali e sull’amore reciproco predicato da Gesù, che costituiva di fatto la nuova legge, la quale portava a compimento e sostituiva la precedente legge mosaica, la Torah. L’accento non era più sull’adempimento di pratiche rituali, messe in questione dallo stesso Gesù, quanto sulla necessità di una trasformazione morale dell’individuo il quale, imitando Cristo e seguendo i suoi insegnamenti, si impegnava con dedizione nel compiere opere buone.

I primi cristiani credevano che, al giudizio finale, ognuno sarebbe stato giudicato in base alla sua vita e alle sue opere;9 una risurrezione di vita per coloro che avevano compiuto il bene, una risurrezione di condanna per coloro che avevano operato il male.10 Il punto centrale della dottrina della salvezza non era fissato sul perdono dei peccati per i quali, sulla base di quanto già esposto nella Bibbia ebraica, il sincero pentimento e il ritorno a Dio costituivano condizione sufficiente per ottenere il perdono; l’attenzione era piuttosto rivolta alla condizione del cuore dell’uomo che costituiva il fondamento per una vita retta. Grande enfasi veniva posta sulla vita morale, e l’esortazione a vivere rettamente coprirà una parte rilevante del Nuovo Testamento, al cui centro era collocato il paradigma dell’amore per il prossimo.11 Non va dimenticato, inoltre, che i riferimenti morali e teologici a cui potevano rifarsi le prime comunità cristiane provenivano principalmente dagli scritti dei Profeti e dai libri Sapienziali della Bibbia, dov’era forte e ricorrente l’invito a compiere il bene e ad aiutare in particolare gli oppressi: Imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova!;12Difendete la causa del debole e dell’orfano, fate giustizia all’afflitto e al povero!13 Quello che si diffuse in questo primo periodo del cristianesimo potrebbe quasi dirsi un vangelo sociale, fortemente focalizzato sull’aiuto ai poveri; a riprova di ciò, quando Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme per incontrare Giacomo, Pietro e Giovanni, ricevettero, oltre al mandato di andare dagli stranieri, la sola raccomandazione di ricordarsi, vale a dire di fare qualcosa, per i poveri.14 Tanto era sentita la questione che Paolo si adoperò continuamente per la raccolta di fondi per i fratelli poveri di Gerusalemme,15 e chi si univa alla Chiesa vendeva tutti i propri beni e ne faceva parte con chi era nel bisogno.16

La grazia di Dio, secondo questa teoria, consisterebbe nell’aver inviato Gesù il quale, per mezzo della propria vita e insegnamenti, fornì un esempio morale tale da motivare la scelta degli uomini di abbandonare le vie del peccato e condurre una vita retta fondata sull’amore. L’uomo infatti era ritenuto dotato della capacità di scegliere (libero arbitrio) e non si ipotizzava alcuna idea di peccato originale, concetto che venne formulato solamente nel IV secolo da Agostino d’Ippona.17 Pertanto, il male che affligge l’uomo veniva considerato derivante o dall’ignoranza nel conoscere il bene, o dalla cattiva coscienza nel non praticarlo; grazie agli insegnamenti e alla testimonianza di Gesù, gli uomini sarebbero pertanto toccati nell’intimo ed esortati a conoscere il bene, ad abbandonare le vie malvage e a convertirsi alla giustizia e all’amore per il prossimo. La morte e la conseguente risurrezione di Cristo incoraggerebbero il fedele a adoperarsi senza riserve, finanche a costo della vita, a compiere il bene e a impegnarsi per la comunità. È un concetto allargato di salvezza, non tanto del singolo, come siamo abituati a immaginare nella nostra società individualista, ma della comunità, che era tipico della cultura ebraica, dove ciascuno era chiamato a operare come membro coordinato di un unico corpo, la Chiesa.

Per concludere, la salvezza veniva vista come conversione e pentimento della persona verso una nuova dimensione morale, premessa per un giudizio finale positivo da parte di Dio, che si ottiene compiendo il bene a imitazione dell’esempio dato da Gesù, rimanendo fedeli alla sua causa e leali alla comunità.

 

In primo luogo, c’è un Dio spirituale e inesprimibilmente esaltato, che è Signore e Padre del mondo. In secondo luogo, egli richiede una vita santa. In terzo luogo, alla fine si siederà in giudizio e premierà i buoni con l’immortalità e punirà i malvagi con la morte. L’insegnamento riguardante Dio, la virtù e la ricompensa eterna, è tracciato attraverso i profeti e Cristo; ma la realizzazione di una vita virtuosa (di rettitudine) è stata necessariamente lasciata da Dio agli uomini stessi; perché Dio ha creato l’uomo libero, e la virtù può essere acquisita solo attraverso gli sforzi dell’uomo. I profeti e Cristo sono dunque una fonte di rettitudine nella misura in cui sono maestri.18

 

Va detto però, per completezza, che la visione della prima Chiesa, ipotizzata da questa teoria come integralmente “esemplarista”, in realtà non escludeva la necessità dell’azione dello Spirito Santo nel processo di trasformazione dell’uomo e vedeva nell’unione con Cristo la via per giungere alla sua piena realizzazione, come vedremo in seguito.

 

 

1.2. Pelagio e Agostino

 

Un’interpretazione piuttosto simile alla teoria della Trasformazione Morale conobbe ampia diffusione nel IV secolo a motivo delle opere di un monaco di nome Pelagio,19 il quale caldeggiava un ritorno alle origini del cristianesimo, proponendo un modello esemplarista basato sulla vita di Gesù che, fortemente osteggiato da una parte della Chiesa e in particolare da Agostino d’Ippona, gli costerà una condanna per eresia nel 418 d.C. È importante aprire una breve parentesi sullo scontro tra questi due illustri studiosi, poiché fu un evento che segnò il corso della teologia cristiana.

Nel dettaglio, Pelagio negava l’esistenza di qualsivoglia peccato originale ereditato da Adamo ed Eva, come invece ipotizzato da Agostino, se non in termini di cattivo esempio da essi tramandato; l’umanità non sarebbe né corrotta, né incapace di compiere il bene e tantomeno colpevole di alcunché per nascita, sarebbe solo educata male e assuefatta ai vizi:

 

Perché nessun’altra causa provoca in noi la difficoltà di compiere il bene se non la lunga consuetudine dei vizi, che ci ha infettati fin dall’infanzia, e gradualmente, attraverso molti anni, ci ha corrotti, e così ci tiene in seguito legati e dipendenti a sé stessa, così che sembra in qualche modo avere la forza della natura.20

 

Egli riteneva che l’uomo non necessiti di redenzione e che sia stato creato con la capacità e la libertà di agire rettamente in base alle proprie scelte, seppur aiutato dall’esempio di Cristo:

 

Nella persona di Gesù Cristo la legge spirituale interiore è resa pienamente manifesta per noi. Le sue parole spiegano la legge spirituale e la sua vita e morte la esemplificano. Attraverso di lui siamo rinati come uomini e donne nuovi, perché possiamo vedere chiaramente come dovremmo vivere. Non abbiamo più bisogno di leggi esterne scritte, perché in Cristo comprendiamo pienamente la legge spirituale interiore.21

 

Agostino, al contrario, vedeva l’uomo come totalmente schiavo del peccato e incapace di compiere il bene poiché, pur essendo ancora dotato di libero arbitrio, si troverebbe in “catene” e in grado di adempiere solamente ai desideri peccaminosi, che lui identificava in particolare con la concupiscenza sessuale.22 L’uomo sarebbe pertanto libero, ma libero di compiere esclusivamente il male; solo la grazia di Dio può donare vera liberazione e conferire la capacità di operare il bene, poiché non vi sarebbe nell’uomo alcunché di buono. L’umanità, secondo Agostino, se non redenta, è una massa dannata (massa perditionis).

I punti chiave della disputa diedero vita a due visioni diametralmente opposte, definite Agostinianismo e Pelagianismo che possono essere così riassunte:

 

Agostinianismo: solo la grazia di Dio può trasformare il cuore di un uomo da malvagio a buono. È la grazia che libera il libero arbitrio e rende l’uomo capace di scegliere il bene. La grazia di Dio è concessa solo a coloro che sono predestinati ed è irresistibile. La salvezza è una decisione di Dio.

 

Pelagianismo: la grazia è intesa come aiuto in termini di buona educazione, esempio morale ed esortazione da parte di Dio. Rifiuto di qualsiasi nozione di un rafforzamento interiore dell’anima o della volontà dell’individuo da parte di Dio, e negazione della predestinazione. La salvezza è una scelta dell’uomo.

 

Fondamentalmente, la predicazione di Pelagio poneva grande enfasi sull’etica, la virtù e una via rigorosa di seguire l’esempio di Cristo per giungere alla purezza morale: “Se devo, dunque posso”. All’opposto, per Agostino, unicamente la grazia divina poteva conferire all’uomo la capacità di vincere i desideri peccaminosi e metterlo in grado di vivere nella giustizia.

Ai fini del nostro studio, per giungere a una riconciliazione tra le due visioni, potremmo ipotizzare che l’uomo nasca con la capacità di compiere sia il bene che il male (è ciò che infatti ci aspetteremmo di trovare tra Cristiani e non Cristiani) e che in questo ambito di scelta finisca spesso, forse anche condizionato da cattivi esempi o da un ambiente ostile, per compiere delle scelte sbagliate (ed è ciò che effettivamente riscontriamo e che chiamiamo male); la grazia di Dio, in vari modi e in differenti momenti della vita, sarebbe offerta a tutti gli uomini,23 sebbene non sempre accolta, affinché essi, sotto l’azione dello Spirito di Dio, siano persuasi ad allontanarsi dal male e a perseguire il bene. Ma questa, per il momento, resta solo un’ipotesi che cercheremo di approfondire nel seguito del libro.

 

 

1.3. Critiche alla teoria della Trasformazione Morale

 

Le principali critiche che vengono mosse alla teoria della Trasformazione Morale riguardano in particolare l’idea di salvezza ottenuta per mezzo di sforzi umani, e il fatto di sottovalutare il peso della corruzione morale dell’umanità. In tal senso, sempre secondo i critici, viene negato il ruolo redentivo alla morte di Gesù, che nella teoria della Trasformazione Morale assumerebbe solo carattere di testimonianza esemplare. Questa teoria, se spinta verso l’accezione estrema del Pelagianismo, renderebbe la morte di Gesù marginale al processo di salvezza, se non in termini di esortazione morale; l’uomo sarebbe in grado di salvarsi da sé, in quanto perfettamente libero di scegliere il bene e la giustizia. In tal caso, Gesù avrebbe potuto solamente predicare il suo nuovo modello etico e risparmiarsi il martirio della croce. L’idea proposta dal Pelagianismo è quanto di più simile ci sia, in ambito teologico, allo stoicismo greco,24 e pur essendo stata più volte scartata dalla teologia ufficiale è in realtà piuttosto diffusa, in particolare in alcuni circoli pseudo religiosi.

 

 

1.4. Conclusione

 

Le teorie cosiddette “esemplariste”, le quali sostengono che la vita, la morte e la risurrezione di Gesù abbiano costituito solo il perfetto esempio morale da seguire, sono state ripetutamente bocciate nel corso della storia della teologia, spesso anche duramente, ed etichettate come eretiche. Tuttavia, si deve riconoscere a favore della teoria della Trasformazione Morale il merito d’aver evidenziato la necessità di un cambiamento radicale nell’uomo nel seguire Gesù e rimarcato che le opere buone a favore dei poveri, degli oppressi e di tutti i bisognosi, costituiscono un aspetto naturale della vita di un Cristiano; come disse l’Apostolo Giacomo “La fede, senza le opere, è morta”,25 vale a dire che una fede, la quale non produca opere buone, è quasi sicuramente inautentica. Possiamo pertanto affermare che grazia e opere non sono in antitesi tra loro, ma procedono parallelamente nel percorso di vita e di salvezza di ciascun Cristiano.

Nell’ambito del dibattito sulla grazia innescato da Agostino e Pelagio nel IV secolo, ancora di grande attualità, ci si domanda quale sia il ruolo dell’individuo nell’ambito della salvezza (libero arbitrio? predestinazione?), quale sia la portata della grazia (irresistibile? irreversibile?) e quali siano i risultati generati dalla stessa. Nella versione dettata da rigorismo morale è concreto il rischio di sfociare nello stoicismo, nel quale Gesù non avrebbe alcun ruolo, se non marginale, nel quadro della salvezza. All’opposto, la visione agostiniana fondata sulla predestinazione e sulla grazia irresistibile renderebbe la compartecipazione umana all’evento della salvezza del tutto superflua e ininfluente, sfociando nel fatalismo26 (tipico della cultura dell’antica Roma che probabilmente influenzò Agostino) e nel lassismo.

È dunque necessario trovare una sintesi tra le due impostazioni, come già si cercò di fare nel VI secolo,27 per conciliare l’azione della grazia di Dio con un impegno del fedele a rinnovare e trasformare la propria vita. Ritengo infatti poco plausibile un percorso di salvezza che non sia iniziato dalla grazia divina e supportato dallo Spirito Santo in varie forme e gradi, ma altrettanto infondata una completa mancanza di libertà di scelta e responsabilità individuale dell’uomo in tale percorso. Questa sintesi (sinergismo) fu probabilmente ciò che cercarono di trasmetterci gli autori del Nuovo Testamento e i Padri della Chiesa,28 e che andò quasi perduta sotto la spinta di filosofie e religioni pagane,29 le quali indirizzarono verso l’una o l’altra delle due visioni estreme (stoicismo o fatalismo).

 

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