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<<Il bello è il simbolo del bene morale>>
Immanuel Kant
<<La bellezza è una promessa di felicità>>
Stendhal
<<Che la politica sia un'arte non v'è dubbio>>
Benito Mussolini
Noi abbiamo nuove definizioni per le cose, e infiniti pretesti per i nostri
eccentrici arbitrii.
Noi abbiamo una nuova definizione di estetica. Per noi est-etica è tutto
ciò che trascende l’etica; è l’ethos che va oltre la morale dei moralismi;
la visione che si autoproclama laica, autonoma, sovrana.
Per noi l’estetica è una gnoseologia superiore, ed è il grimaldello con cui
sovvertiamo le cose volgarmente chiamate buone, sfondando e
rifondando l’ideale di kalokagathia.
<<Il nostro solo criterio nel giudicare un’arma o un attrezzo è la sua
bellezza>> (Hakim Bey), anche quando l’arma è il pensiero e l’attrezzo
una morale.
L’estetica è un modo ed una ragione per vivere e per morire. Solo come
esperienza estetica infatti la vita può avere un qualche senso.
Nel mondo in cui ragione e giudizio hanno votato per l’ineludibile e
progressivo scadimento di tutti i valori, l’unico paradigma ancora in
piedi rimane quello estetico. L’unica legislazione ammessa sarà quella
artistica, ed i delitti contro il bello saranno gli unici e i più gravidi.
Noi vediamo il mondo come un’opera d’arte, un’opera d’arte senza
senso e fine a se stessa, e lo vediamo meraviglioso perché noi siamo
meravigliosi. La bellezza infatti non è nell’oggetto ma è in noi, nel
nostro sguardo su quell’oggetto.
Il mondo è un’opera d’arte, e anche noi ambiamo ad esserlo.
<<Un'opera d'arte infatti non ha contenuto, come non ha contenuto il
mondo. Entrambi esistono. Entrambi non hanno bisogno di
giustificazione, e non potrebbero assolutamente averne>> (Sontag).
La vanità è l'atteggiamento adatto per tutto ciò che è vano e vacuo.
<<Vanitas vanitatum et omnia vanitas>> (Quoelet).
L’estetica è solo una parola con cui ci riempiamo la bocca, con cui
diamo da fare alle nostre mani, con cui lubrifichiamo i nostri cuori.
Con la morte violenta di ogni speranza e possibilità etica, non potendo
restare a mani vuote e privi di giudizi (noi siamo un giudizio), facciamo
disperato ricorso all’estetica.
In un mondo senza senso, l’unico approccio accettabile alla vita rimane
quello ludico-artistico, perché l’arte è l’assenza di logica per
antonomasia, e perché l’arte non deve fornire giustificazioni.
Vivere la vita come un’esperienza estetica. Un’esperienza
religiosamente artistica. Cercare non la verità ma la bellezza, o la verità
che è nella bellezza. Alla verità quindi sostituire l’arte in quanto
<<magia liberata dalla menzogna di essere verità>> (Adorno), perché
l’arte può assolverci nella misura in cui è in grado di distruggerla la
verità.
La vita come arte è riconoscere l’esistenza per quello che è; rovesciare
l’angosciosa insensatezza del mondo in gioiosa insensatezza, in
inebriante probabilità, in estatica incertezza; trascendere l’alienazione
dell’esistenza rovesciandola in una consapevole alienazione artistica,
che sia <<una alienazione mediata, di “ordine superiore”>>. (Marcuse)
La vita come arte è esistere in prima persona, riconoscendosi come non-
individualità; vivere una vita qualitativamente superiore, essendo
artefice del proprio e dell’altrui destino, riconoscendo l’assenza di
destino e l’assenza di scale qualitative che non siano le proprie.
L’arte è errore, ma è accettabile in quanto errore voluto.
L’arte supera la verità perché è volontà di verità.
Vi è sostanza nella forma e qualità nella quantità. Se è vero che il mezzo
è il messaggio, e se è vero che non esistono fini, allora i mezzi
rappresentano tutto, lo stile è tutto.
C’e una via poetica per tutte le cose. La via poetica per ingoiare il rospo
dell’esistenza è quella meno battuta. Ma non è possibile concepire nulla
di originale senza al contempo sovvertire gli strumenti e le regole
espressive in gioco. Non è accettabile nessuno stile di vita che si adagi
sulla sintassi comportamentale, sociale e politica esistente.
Vogliamo che ogni azione sia una poesia, ed ogni pensiero, ed ogni
lacrima.
Vita estetica è vivere sempre solo nel momento, perché consci che non
c’è altra fottuta possibilità.
L’arte è tale in quanto primigenia e originale; e nella lunga, interminata
decadenza della civiltà e dell’uomo, l’unica innovazione possibile è
portare a termine il processo di consunzione.
E dopo aver distrutto tutto ciò che resta è fare in modo che non rinasca.
Guerra-Festa
<<questo mio mondo dionisiaco del perpetuo creare se stesso, del perpetuo
distruggere se stesso, questo mondo di mistero dalle doppie voluttà, questo mio
al di là del bene e del male, senza scopo, se non c’è uno scopo nella felicità del
circolo, senza volontà, se un anello non ha buona volontà verso se stesso –
volete un nome per questo mondo? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? Una
luce anche per voi, i più celati tra gli uomini, i più forti, i più impavidi, i più
notturni? – Questo è la volontà di potenza>>
Friedrich Nietzsche
La vita come opera d’arte o come festa è l’unica possibile.
Festa è dépense, consumo improduttivo, produzione illogica,
rappresentazione, orgia. E’ arte come tragedia attica e situazione
costruita.
Nella festa ci denudiamo e bruciamo i nostri soldi, danziamo ebbri,
cantiamo poesie e inculiamo le nostre sorelle ireniche. Festa è
abbandono di ogni speranza e di ogni ragionevolezza. E’ abbandono di
ogni ragione utilitaristica in nome del trascendente risolutore dei nostri
enigmi esistenziali.
Festa è dispendio, distruzione, ma è anche produzione immateriale,
simbolica, comunicazione. Festa è investimento nell’irrazionale per
produrre senso; un investimento nella morte per restare in vita.
Se manca il senso, la vita dell’uomo assume il carattere dello spreco.
L’uomo ha bisogno di senso per vivere e per morire, e la festa è al
contempo il rito metafisico in onore della sua nascita e la sua veglia
funebre.
Noi siamo i Ludensturm, siamo i distrutti e i distruttori. <<Lo scambio
di apparenze, il presente che viene e se ne va, sono come l’aria che le
persone inspirano ed espirano. Questo è il metabolismo dello scambio,
della prodigalità, della festa – e anche della distruzione>> (Baudrillard).
Il tempo che passa è distruzione violenta dei giorni. Le persone
muoiono, le case crollano, le serie tv finiscono. <<Polemos è padre di
tutte le cose>> (Eraclito).
L’uomo è un animale metafisico, e la metafisica è violenza.
La violenza non è il mezzo o il fine della vita, è la vita stessa.
L’esistenza è comunicazione, e la comunicazione è violenza. Gli atti
sono atti di forza, ed esprimere un concetto è un atto. L’esistenza parla
violentemente, e solo violentemente la si ascolta. Solo violentemente,
nell’esistenza, si comunica.
<<C'è dunque un soliloquio della ragione e una solitudine della luce.
fenomenologia ed ontologia, in quanto incapaci di rispettare l'altro nel
suo essere e nel suo senso, sarebbero, quindi, filosofie della violenza>>
(Derrida).
La violenza dell’esistenza è rivolta contro di noi, e allora io dico: cazzo!
La violenza non ha bisogno di giustificazioni per essere presa per mano.
La violenza distrugge con violenza le giustificazioni, e tutto ciò che gli
sta attorno.
Se la vita è violenza, dire si alla vita significa dire si alla violenza.
<<La volontà è, in quanto tale, violenza>> (Severino), come lo è la
rappresentazione. Abbracciare il mondo significa abbracciare la
violenza. <<Rinunziare alla lotta significa rinunziare alla vita>>
(Mussolini).
<<Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La
guerra è spaventosa - e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile
e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore>> (Papini).
La violenza dell’esistenza è un treno velocissimo che avanza
distruggendo. Non dobbiamo fare altro che toglierci dai binari e salirci
su, metterci nella cabina di comando e premere sull’acceleratore.
Staccare i freni, dare potenza e gridare istericamente.
La potenza conduce i volenti e trascina i nolenti.
Siamo costretti a vivere di potlac, feste, elargizioni, accrescimenti, ma in
fondo è esattamente ciò che desideriamo.
Non esistono più ideali per cui farsi esplodere, ci rimangono le
esplosioni in sé.
Le guerre non hanno più pretesti che le giustificano, ma questo non deve
toglierci l’adrenalina della lotta e il rapimento dello scontro.
Noi amiamo la guerra fine a se stessa, perché <<la buona guerra è quella
che santifica ogni causa>> (Nietzsche).
<<Amate la pace come mezzo per nuove guerre>> (Nietzsche).
Grande Carta delle Libertà
<<Immagina non esiste alcun paradiso>>
John Lennon
Uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte
quelle cose per le quali gli uomini sono chiamati buoni, sendo spesso
necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla
carità, contro all’umanità, contro alla religione.
Ma più che ad un principe, tali prerogative di libertà si confanno ad un
Re: il Re Moralizzatore.
Il Re Moralizzatore è una sorta di mostro superomistico coi baffetti alla
Hitler (o alla Chaplin). E’ l'uomo che non ti aspetti, magari è tuo figlio.
E' il tizio che piscia nei lavandini, che mette bombe nelle fogne e
sparisce nel suo mantello; incurante, sarcastico, violento, perché così lo
vuole la saggezza. Vi farà visita in borghese oppure vestito da nobile
cavaliero: abito rosso orlato, mantello di raso pesante, sul berretto piuma
di gallo, al fianco un’arma a scelta, e con eccentrici mezzi si adopererà
per scacciare le vostre paturnie.
Il Re Moralizzatore è un ipermoralista e quindi un immorale. E’ uscito
dalla schiera degli affamati, nessuno l’ha nutrito a suo tempo ed ora
nessuno può pretendere da lui la virtù. E’ quello del siero antimenschen,
l'uomo del <<finché li cerco io, i latitanti sono loro>>, l'Ivan Drago del
<<qualsiasi cosa lui colpisce, lui la distrugge>>.
Fino a qualche tempo fa cantava ancora: <<quando sarò Re voi sarete i
primi contro il muro, con le vostre opinioni di nessuna conseguenza>>.
Il Re è un trasformista, ma ancora di più un trasformatore. Egli è il
legislatore-danzatore, il rimescolatore, l’impostore, l'uomo per principio
contro i manifesti e manifestamente contro i principi, e il suo
giacobinismo va oltre le definizioni. E’ il Dada-Rama, il Re Dada, detto
anche Kalki il distruttore. E' l’erede della dinastia di Zeus e Semele. E’
come Lacenaire: poeta e assassino. E’ lo stereotipo di tutti i dandy
perversi, intellettuali criminali e geni del male che non hanno nulla di
meglio da fare.
Lui sceglie il male perché qualcuno lo ha distinto dal bene, e non esiste
delitto di cui non possa immaginarsi autore. Lui è tra quelli che si
sedettero dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano
occupati.
A lui non importa essere Re, ma se deve esserlo allora che sia un Re de
male. Non moralizzatore in quanto Re, ma Re in quanto moralizzatore.
Ogni suo pensiero emette un colpo di pistola e di dadi, perché il
pensiero, il quale sa che in ogni caso fallirà, ha il dovere di mirare a
obiettivi criminali.
Voi avete il diritto di arrestarlo ma lui ha il diritto di darvene il pretesto.
Compiere il delitto prima di essere braccato è sua inalienabile
prerogativa.
Potete sbatterlo dentro, processarlo e bruciarlo sul rogo; potete tirargli
pietre e massacrarlo di botte, ma la vostra collera non diverrà retroattiva.
Il Re è l’homo-ridens per eccellenza, e ha stampato sulla faccia il sorriso
maligno di chi sa che può tener fede alle proprie minacce.
Il Re Moralizzatore sguazza nel fango di Woodstock. E’ uno psicopatico
anaffettivo, un fauno, un fochista, un clown con la maschera di Ernst
von Salomon, un Drugo. E’ lui quello che gli occidentali chiamano
Vecchio della Montagna; picaro; masnadiere; peccatore di hybris;
trasfiguratore; trasvalutatore.
Come lo Charlot di Tempi Moderni girava bulloni lui gira teste, e se per
caso gliene capita una adulta non si controlla e gira pure quella.
Lui si accanisce contro il buon senso e stermina indifferentemente
popoli e buon gusto.
Il Re Moralizzatore è necessario per contrastare la demoralizzazione
dilagante, perché occorre qualcuno che metta un simbolo o una statuina
di gesso davanti a tutta questa folla urlante.
Il Re è l’Artifex, il coniatore di simboli, il fabbricante di linguaggi. Lui
edifica immagini, libri, pistole, e ve le mette in mano colmando i vostri
bisogni. Voi idioti, che vedendo una mano pensate che vada per forza
riempita.
Il Re, grande moralista e grande inquisitore, dà tutto se stesso per
fornirvi qualcosa davanti a cui inchinarvi.
Il Re plagia, sofistica, falsifica e crea sotto falso nome. Le sue svastiche
non saprete mai se sono neolitiche, indù, naziste o di Arturo Vega.
Il Re Moralizzatore (o Re Maudit) ha un occhio aperto ed uno ceco. Ha
sostituito l'etica con l'estetica, per questo è molto pericoloso. Egli è
conscio che il fatto di non aver mascherato, ma proclamato ad alta voce
l’impossibilità di produrre, in base alla ragione, un argomento di
principio contro l’assassinio, ha alimentato l’odio di cui proprio i
progressisti perseguitano ancora oggi Sade e Nietzsche.
Il Re è l’impresario della demolizione, manipolatore assiologico, il
vessillifero della fine. Il suo conoscere è creare, il suo creare è una
legislazione.
Egli esercita l’assurdo e gioca col fuoco, sapendo che il solo modo per
vincere tutto è rischiare tutto.
Il Re, in quanto eletto, domina il reale. La sua volontà trascende l’azione
e lo innalza come immagine di maestà.
Egli crea le condizioni. Il Re è quello che si alza in piedi gridando di
esserlo (l'autoproclamazione è condizione necessaria e sufficiente).
Perché nega altri valori, altre autorità, l’esperienza avente esistenza
positiva diventa essa stessa positivamente il valore e l’autorità.
La sua è un’aristocrazia dello spirito. Lui fonda il diritto personale sul
successo, ed esercita il suo titolo dittatorialmente. Lui sa che la potenza
si da solo a chi osa chinarsi a prenderla.
Il Re, arbiter elegantiae, è il santo patriarca uccisore dei suoi figli, il
campione del gesto arbitrario, il legislatore draconiano. E' tale in quanto
assoluto (legibus solutus), in quanto sovrano.
Egli primeggia perché scevro di scale di valori e illusioni storicistiche.
Fa cut-up dei crismi e mastica libri di morale al solo scopo di poterli
vomitare.
Il Re Moralizzatore è il sovrano di un’aristocrazia culturale.
Il Re è per una moratoria universale dell’etica. Egli non ha problemi a
stracciare poemi o a dare giudizi di gusto. Egli ripone il valore delle
cose proprio nel fatto che a tale valore non corrisponda né abbia
corrisposto nessuna realtà, ma solo un sintomo di forza da parte di chi
pone il valore, una semplificazione ai fini della vita. Una complicazione
ai fini della tua comprensione razionale.
Il Re Moralizzatore fa strage di cuori. L’ambiguità è la sua vera natura,
il camaleontismo la sua reale identità.
Il Re Moralizzatore ha superato in una sintesi dialettica la negazione e
l'assolutizzazione della volontà giungendo a risultati molto divertenti.
Il Re è un bambino nietzescheiano con saudade del leone. Come la
Grace di Dogville , Re Ubu, Re Edipo, Re Mida o Riccardo II, è lo
stremo delle forze. E' l'estrema arroganza del Getsemani, del re-ietto, di
chi beve la cicuta o si fa crocifiggere.
La sua libertà risiede nella sua schiavitù, perché è la coscienza di non
essere libero che gli consente di superare tale contraddizione.
Egli è il martire designato, perché chi fa della sua vita la lacerazione che
essa è nella gloriosa angoscia della morte è rigettato come nonsenso
dalla massa di quegli stessi che non avrebbero senso se lui, questo
pazzo, non fosse al mondo.
Il Re Moralizzatore è il Giuda di Borges; il vostro sacro traditore. E'
quello che vi ammazza per santificarvi; è quello che, col sorriso sulle
labbra, corre incontro alle vostre spranghe. E’ il santo capro borghese, la
vostra ostia domenicale. E’ il topo che inseguite per schiacciarlo, ma
non vi accorgete che la terra è rotonda e che è lui ad inseguire voi.
Il Re Moralizzatore scatena guerre e uccide pargoli. Non lo fa perché è
pazzo, lo fa per vedere che succede. Non crediate che sia venuto a
portare pace sulla terra; non è venuto a portare pace, ma una spada.
Il Re ammazza il maestro Zen per vedere cosa c’è nella sua testa matta.
Per lui <<terrorismo culturale>> non è solo una locuzione à la page.
Il Moralizzatore rapisce l’anima degli uomini; li colpisce all'interno
togliendogli il supporto morale e lasciandoli cadere come invertebrati.
Gli uomini non riescono senza morale, danno di matto, urlano, scalciano
nel letto, scrivono libri o si suicidano. Il Re strappa la morale dal torace
degli uomini ancora vivi e la sostituisce con un timer ticchettante.
Il Re è l'oltre-umano, quindi necessariamente il dis-umano, il prometeo
postmoderno venuto a saldare i conti.
E’ lui a capire che l’errore del mondo è in realtà l’errore dell’uomo, ed è
per questo che l’uomo è qualcosa che deve essere superato.
Il Re non è oltre le parole, è proprio in esse. Il Re non è fuori dalla
realtà, non è fuori di voi. Egli è uscito di mezzo a voi, ma non era dei
vostri; se fosse stato dei vostri, sarebbe rimasto con voi; ma doveva
rendersi manifesto che non tutti sono dei vostri.
Egli è reale in quanto Re, e non gli interessa essere altro. Per lui realtà è
sinonimo di maestà.
Lui è l’uomo della parusia. Per lui ogni giorno è un giorno del giudizio.
Ha l’autorità auto-conferita per emettere sentenze, e i suoi giudizi sono
inattaccabili perché totalmente arbitrari.
Lui non è uno di quei Buddha con la sindrome di moebius. Da uomo
superiore accetta e vuole per se legge universale che gli altri si limitano
a seguire ciecamente, trasforma il caso in necessità e con l'aiuto di un
martello gaio e tragico catalizza l'aumento di entropia.
La grande carta delle libertà del Re è una carta delle libertà dalle
dottrine; una carta per pulirsi il culo; una carta da imparare a memoria e
poi bruciare; una pergamena per alimentare la fiamma teleologica e per
far avvampare i tempi.
E’ una carta superflua e immediata, insuperabile e incontestabile. E'
inattaccabile perché come fai se hai un fazzoletto in bocca e sei legato a
un missile che sta per essere lanciato in orbita?
La grande carta delle libertà è in realtà una grande carta dei privilegi. E'
la carta delle libertà di chi è libero, un Atto che dichiara i diritti e le
Libertà del Soggetto, e stabilisce la successione della Corona.
La grande carta è un nuovo vocabolario scritto con le ceneri di quelli
vecchi. E’ un puzzle di discorsi demolitori, sofismi alla vagina, arringhe
sovvertitrici. Fa patchwork del logos e mette paura alla gente. Distrugge
i correttori automatici e propone a chi ha inchiostro o sangue a
sufficienza di scrivere quello che cazzo gli pare, perché la libertà di dire
tutto apre la strada alla libertà di fare tutto.