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Dadarama è stilorama, anfibologia, bramarama, bramarama, rama rama,
hare hare. Rigore filologico, vaudeville teratologico, libro pagano, libro
rosso, libro nero, non libro, piuttosto: macchina agricola.
Dadarama è epos antifrastico, scatologia, turlupinatura, compilazione
declamatoria di luoghi comuni pretensiosi, romanzo picaresco, epitome
del resto. Silloge, elzeviro, poesia in forma di rosa, metaletteratura,
rapsodia, citarsi addosso. E’ l’alea o il suo fenotipo camp. Limbo
nevrotico a mo’ di rizoma salmodico, totentanz, cupio dissolvi, inattuale
memento mori come sedizioso laido urlo, cantico del male, compulsiva
velleità destruens, gretto assortimento di pravi epigrammi, prosopopea
negazionista, avanguardia di seconda mano, deiezione d'artista.
Dadarama è un palinsesto, una tela, un lenzuolo funebre destinato a
Laerte. E’ un’opera aperta, un bestiario moraleggiante, un ricamo
fashion sui jeans di Cassandra. E’ il barattolo di Campbell che esplode e
macchia tutti di sangue Troma.
Stilorama è leziosa affettazione. E’ l'irritante entusiasmo del neofita che
danza sulla cadenza alata dei suoi primi canti; che ride dei suoi acrostici
indolenti in groppa alla bestia da stile.
Dadarama sono trentamila parole scelte a caso; elucubrazioni ieratiche
fatte sulla tazza del cesso; koan sparsi di un laconismo pletorico; motti
pleonastici rabberciati per deficienti; dialoghi destinati all'educazione
delle giovani fanciulle (la madre ne prescriverà la lettura alla figlia).
Dadarama non ambisce a descrivere una data realtà ma a produrla.
Il ruolo di Dadarama nei confronti dei nostri tempi non è di rifletterne il
senso ma di fornirgliene uno.
Dadarama è una parola ma può diventare presto un fatto.
Dadararama è tathata, da-dada, diecimila funzioni, diecimila cose.
E’ un canto anatomico e macabro, un peana mortifero, un'eulogia del
nulla.
Dadarama è metafora cosmologica, coacervo cacofonico, trattato
tanatologico.
Dadarama sono sentenze universali come pass per la loggia dei massoni
felici, euristiche banalità, e non voler intendere, e guai a chi ripeterà
queste parole infami.