Salvati dalla Sua Vita by Marco Galli - HTML preview

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CAPITOLO 18

LA VITA ETERNA E L’UNIONE CON CRISTO

 

 

 

Questa è la vita eterna:

che conoscano te, il solo vero Dio,

e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo.

Vangelo di Giovanni 17:3

 

In quel giorno conoscerete

che io sono nel Padre mio,

e voi in me, e io in voi.

Vangelo di Giovanni 14:20

 

 

 

In questo capitolo cercheremo di fare luce su un concetto che è stato spesso trascurato e sovente frainteso, quello della “vita eterna”. L’espressione vita eterna viene utilizzata nell’Antico Testamento solamente una volta, mentre compare nel Nuovo Testamento per ben 43 volte. Proveremo quindi a capire quale verità fosse sottesa a questo termine e per quale motivo essa fu a lungo ignorata per divenire, nell’era messianica, di fondamentale importanza. Giungeremo poi a collegare l’importante questione della vita eterna con un altro tema che sta divenendo di grande attualità, quello dell’unione con Cristo e della theosis.

 

 

18.1. Vita eterna e aldilà

 

L’espressione “vita eterna” spesso assume semplicemente il significato di immortalità, di vita senza una fine; normalmente indica la vita nell’aldilà che spetta agli uomini giusti nell’eternità, in paradiso, al cospetto di Dio, contrapposta all’idea di dannazione eterna per i malvagi, all’inferno, separati da Dio. Nell’immaginario collettivo, dunque, vita eterna sta per vita senza fine nella gioia e nella pace del Signore che avrà luogo dopo la morte. Tuttavia, apprendiamo dal testo biblico che non è l’unico significato che veniva attribuito a questo concetto, e per poter comprendere meglio dobbiamo partire ancora una volta dall’Antico Testamento e dal significato che esso aveva per gli Ebrei ai tempi di Gesù. L’espressione vita eterna compare per la prima volta nel libro del profeta Daniele:

 

Daniele 12:2 Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per un’eterna infamia.

 

Questo versetto sembrerebbe confermare l’ipotesi che vita eterna indichi la vita nell’aldilà conseguente alla risurrezione; prima di giungere a conclusioni, è però necessario aprire una parentesi su quelle che erano le credenze degli Ebrei per ciò che concerne la vita dopo la morte e la risurrezione.

 

 

18.2. La risurrezione dei morti

 

In generale, sin dall’antichità, non vi era per gli Ebrei una pressante necessità di conoscere ciò che sarebbe avvenuto dopo la morte. Essi ritenevano che, poiché nella Torah se ne faceva poca o nessuna menzione, fosse bene non indagare oltre. In alcuni versetti della Bibbia, inoltre, si vietava di consultare i morti,500 ammonendo che le cose “occulte” appartenevano al Signore, mentre il suo popolo avrebbe dovuto concentrarsi nel conoscere e mettere in pratica le cose rivelate nella legge:

 

Deuteronomio 29:28 Le cose occulte appartengono al Signore nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli per sempre, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge.

 

Nonostante ciò, esisteva un’idea comune associata all’aldilà ed era quella dello Sheol, il regno dei morti, il luogo delle ombre, situato nel cuore della terra. Più che un inferno era un luogo di “non vita” in cui sarebbero scesi tutti dopo la morte, divenendo polvere. È necessario rammentare quanto abbiamo visto nel capitolo riguardante il sacrificio, nel quale abbiamo sottolineato che per gli Ebrei, tutto ciò che era morto, privo di vita, era considerato impuro, come qualcosa da cui tenersi alla larga. Non certo una prospettiva incoraggiante quella che aspettava tutti coloro che si avvicinavano alla fine dei loro giorni.

Sorsero di conseguenza diverse linee di pensiero alternative, alcune sostenevano che i morti sarebbero risorti (alternativamente prima o dopo la venuta del Messia), altre affermavano invece che non c’era risurrezione dei morti e che la vita cessava per sempre una volta nella tomba. I Farisei erano sostenitori della teoria della risurrezione, mentre i Sadducei la negavano.501 Gesù stesso partecipò al dibattito e smentì i Sadducei, confermando che ci sarà la risurrezione dei morti, e li rimproverò di non conoscere le Scritture.502 Questa diatriba continuò a lungo, perfino tra i Cristiani dopo la risurrezione di Gesù, tant’è che Paolo li ammonì dicendo: “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini.503 Al giorno d’oggi, la discussione è ancora viva tra gli Ebrei, tanto che non esiste una teologia unica e accettata sull’argomento, sebbene, in linea di massima, la maggior parte di essi convenga sull’idea di una vita dopo la morte; di un paradiso Gan Eden (Giardino dell’Eden) e di un inferno, Gehinnom. Quanto abbiamo appena detto, sembrerebbe dunque confermare l’ipotesi che il concetto di vita eterna, espresso dal profeta Daniele, fosse effettivamente inteso quale vita dopo la risurrezione dei morti e il giudizio, tesi che fu avvalorata anche da Gesù quando disse che i malvagi sarebbero andati a punizione eterna, mentre i giusti a vita eterna.504 Tuttavia, alcune espressioni utilizzate nel Nuovo Testamento, lasciano intendere che ci sia qualcosa di più.

 

 

18.3. Vita eterna adesso?

 

Vediamo, dunque, quali sono queste espressioni che necessitano di ulteriore approfondimento:

 

Giovanni 6:40 Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

 

Giovanni 6:54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

 

In entrambe le affermazioni di Gesù, sembra implicito che la vita eterna sia qualcosa che accade prima della risurrezione, nel tempo presente, e non dopo di essa. Similmente, nei seguenti versetti, il predicato verbale “avere la vita eterna” è coniugato al tempo presente:

 

1 Giovanni 5:13 Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio.

 

Giovanni 6:47 In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna.

 

Quanto appena visto, sembrerebbe avvalorare l’ipotesi che la vita eterna faccia riferimento a qualcosa che possediamo già al tempo presente e non sia solamente riservata a dopo la morte. È necessario dunque comprendere cosa stesse dicendo Gesù, poiché è un tema rilevante e non siamo i soli a cercare un riscontro; era questo un argomento che evidentemente appassionava anche i seguaci di Gesù, poiché, in più di un’occasione, ebbero a domandargli: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?505 C’è un’altra affermazione di Gesù che potrebbe aiutarci a comprendere meglio:

 

Giovanni 5:39 Voi investigate le Scritture perché pensate di avere per mezzo di esse vita eterna, ed esse son quelle che rendono testimonianza di me.

 

Da questo versetto sembrerebbe chiaro che i Giudei cercassero la vita eterna nelle Scritture; che cosa può voler dire quest’espressione? Abbiamo visto che il tema d’indagare la vita dopo la morte non era particolarmente sentito, sia perché le Scritture ne parlavano poco, sia perché era un’attività per certi versi proibita. Gli Ebrei hanno sempre considerato la reticenza di Dio nel parlare delle cose relative alla vita dopo la morte come un segno dell’importanza che Dio attribuisce alla vita attuale. In questa prospettiva, è importante vivere la vita presente che ci è stata donata, poiché questa è la volontà di Dio e dev’essere onorata. Dunque, a cosa stava facendo riferimento Gesù? Cosa c’era nelle Scritture che poteva conferire la vita eterna? Ebbene, essi cercavano la “rivelazione” proveniente dalla parola di Dio che conferisce la vita piena. Ciò che chiamavano “vita eterna” era quell’istante in cui la parola di Dio diventa viva e dona la vera vita, non la semplice vita “bios”, destinata a terminare, ma la vita “zoe506 quella che promana da Dio e che non ha mai fine ed è pertanto eterna. Questa vita si effonde dalla sua parola, ed è ciò che gli Ebrei cercavano avidamente nelle scritture:

 

Un’interessante osservazione viene da come il termine “vita eterna”, chayei olam, era inteso dagli ebrei al tempo di Gesù. Mentre la frase aveva in genere la nostra accezione di vita dopo la morte, chayei olam aveva spesso un’enfasi diversa, quando veniva contrapposta a “chayei sha'ah” (vita fugace). Chayei sha'ah, vita fugace, è vivere una vita che si preoccupa solo delle cose quotidiane: lavorare, fare soldi, mangiare e riposare. Chayei olam, “vita duratura” o “una vita d’eternità” si riferisce al vivere una vita focalizzata su questioni d’importanza eterna. Tradizionalmente, gli ebrei hanno considerato lo studio della Bibbia come un vero e proprio vivere la propria “vita eterna”.507

 

La parola olam poteva anche fare riferimento ai tempi antichi,508 un’epoca remota in cui regnava la giustizia e il diritto. Avere la vita eterna era dunque un modo di dire che stava a significare una vita piena, completa, vissuta nella giustizia, dedita alle cose di Dio e del suo regno eterno piuttosto che alle cose materiali e transitorie; una vita costruita sulla parola di Dio, stabile, eterna e che non appassisce mai. Questo era ciò che gli Ebrei cercavano assiduamente, e non era solamente la vita senza fine che aveva luogo dopo la risurrezione, ma era la vita vera che spetta qui e ora a coloro che, per mezzo della parola, fossero giunti all’intima conoscenza di Dio, dei suoi pensieri e della sua volontà. In questa prospettiva, rileggiamo le parole di Gesù:

 

Giovanni 17:3 Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo.

 

Giovanni 5:40 Eppure non volete venire a me per avere la vita!

 

Gesù stava dicendo che se cercavano la rivelazione, ovvero la suprema conoscenza di Dio che dona la vera vita, quella eterna che non appassisce, dovevano venire a lui, perché lui stesso era colui che poteva rivelare Dio. Quando il discepolo Filippo, cercando questa rivelazione, disse a Gesù: “Mostraci il Padre e ci basta”, Gesù gli rispose: “Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: “Mostraci il Padre?509 Filippo, come molti altri, stava cercando la rivelazione di Dio, l’intimo incontro con il Padre, perché sapeva che ciò avrebbe conferito una vita completa.

Tutti siamo consapevoli, in maniera più o meno conscia, che nella nostra vita manchi qualcosa, percepiamo una specie di vuoto interiore che deve essere in qualche modo colmato. La pienezza che promana dalla parola di Dio può trascendere i limiti di ciò che è materiale e colmare questo vuoto. Nella prima lettera di Giovanni, viene spiegato chiaramente che la vita eterna, la vita completa, è stata rivelata in Gesù e che loro l’hanno vista, ne sono stati testimoni e ne rendono testimonianza:

 

1 Giovanni 1:2 Poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata.

 

1 Giovanni 5:11 E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Figlio suo.

 

Per comprendere meglio è necessario rammentare ancora una volta il concetto d’impurità che abbiamo visto precedentemente. Tutto ciò che era morto veniva considerato impuro, poiché privo di vita. La purezza e la santità provenivano soltanto da Dio ed erano la vita e la luce; conoscere Dio, essere intimi con lui conferiva purezza, dunque vita, quella eterna. Esserne lontani, separati da lui, era invece assenza di santità, impurità e morte. La via per accedere a questa santità era considerata la conoscenza della sua parola; e Gesù disse: “Io sono la vita”.510Ciò che conferisce la vita eterna è l’intima conoscenza e l’identificazione con Dio, e questa è stata resa pienamente accessibile in Gesù. In che modo? Nelle sue parole, in ciò che disse; nelle sue azioni, in tutto ciò che fece; nella sua morte, in come donò sé stesso per amore. In tutto questo è possibile avere la piena e perfetta conoscenza di Dio, delle sue vie, del suo carattere, dei suoi desideri, della sua volontà e del suo amore, ma soprattutto, per l’unione spirituale con Gesù, è ora possibile divenire partecipi della sua stessa vita.

 

1 Giovanni 5:20 Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in colui che è il Vero, cioè nel suo Figlio Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna.

 

 

18.4. La conoscenza

 

Abbiamo appena visto che per gli Ebrei la conoscenza di Dio era la vita eterna e che essi la ricercavano nella sua parola. Gesù li rimproverò spesso dicendo che era lui, lì presente in mezzo a loro, che poteva dare la vita eterna, la conoscenza di Dio. È bene però chiarire che cosa si intendesse per “conoscenza”, poiché per noi la parola ha un significato e un valore diverso rispetto a quello che aveva per gli Ebrei. Per noi, conoscere significa acquisire delle informazioni per formarsi un’idea riguardo alla cosa conosciuta. Abbiamo visto però, nel capitolo precedente, che per gli Ebrei non esistevano parole che avessero un significato solamente intellettuale, e conoscere era più che altro un fatto esperienziale, che penetrava nell’intimo della persona, quasi una fusione di due persone, cognitiva, emotiva e persino fisica; Adamo “conobbe” Eva e nacque Caino.511

 

Anche l’uomo biblico aveva la sua conoscenza, ma non è la conoscenza intellettuale del Greco. Non è il tipo di conoscenza che l’uomo può avere attraverso la sola ragione, o forse non attraverso la ragione affatto; è piuttosto attraverso il corpo e il sangue, le ossa e le viscere, attraverso la fiducia e la rabbia e la confusione e l’amore e la paura; attraverso la sua appassionata adesione nella fede all’Essere che non potrà mai conoscere intellettualmente.512

 

Risulta più chiaro il motivo per cui Gesù disse che conoscere lui, diventare intimi fino a fondersi con lui, significasse avere la vita eterna qui e ora, poiché questo implicava fare esperienza della pienezza di Dio nella sua persona. Dio è inaccessibile e inconoscibile, appartiene a un’altra dimensione e non può essere compreso o afferrato; Gesù lo ha portato in questo mondo e lo ha reso accessibile, possiamo dire certamente a “misura d’uomo”. Dio si fece uomo poiché era il solo modo in cui poteva raggiungere gli uomini in maniera totale; in quanto uomini non avremmo infatti mai avuto accesso a Dio, se Dio non si fosse abbassato prendendo la nostra stessa forma. Coloro che cercavano nei rotoli della Bibbia, l’avevano adesso di fronte e potevano accedere a quella rivelazione divina che era in grado di conferire la vita, in questa dimensione, ora e per l’eternità. Gesù, la parola di Dio incarnata.

Questo tipo di conoscenza è ciò che nel capitolo precedente abbiamo chiamato identificazione, ed avviene quando i valori, il carattere, gli atteggiamenti e persino le emozioni di una persona si infondono, dal punto di vista psicologico, in un’altra persona, modificandone profondamente l’essere e formandone la personalità. In questo caso però, la conoscenza a cui si fa riferimento, va al di là del mero aspetto psicologico, coinvolgendo anche l’aspetto spirituale e finanche fisico. L’unione di cui parliamo è pertanto un’unione totale, che coinvolge l’uomo nella sua interezza.

 

 

18.5. Unione con Cristo

 

Per gli Ebrei “conoscenza” era dunque un’unione profonda tra due persone e, nel nostro caso particolare, con Dio per mezzo della sua parola; questo era ciò a cui anelava ogni Israelita studioso della Bibbia. La novità rivoluzionaria fu che Gesù disse loro che se volevano avere la vita eterna, ovvero la straordinaria rivelazione e conoscenza di Dio, avrebbero dovuto unirsi a lui. Ma cosa significava esattamente?

Il punto centrale di questo assunto riguarda il fatto che tutto ciò che appartiene a Cristo può essere nostro solo attraverso un’unione spirituale con lui. Il trasferimento della sua natura in noi avverrebbe, infatti, non tanto tramite suggestione emotiva o intellettuale, semplice imitazione delle sue qualità o appropriazione legalistica dei suoi meriti, ma attraverso l’incorporazione della sua essenza nella nostra, conseguente a una vera e propria “trasfusione” della sua vita in noi. Quest’incorporazione si potrebbe paragonare al tipo d’assimilazione che accade quando assumiamo del cibo, dove la natura, la sostanza, le caratteristiche organiche e i benefici del nutrimento diventano parte costituente del corpo che lo riceve, fondendosi e formando una sola cosa con esso. Per questa ragione Gesù disse che, se avessimo voluto avere la vita, avremmo dovuto mangiare la sua carne e bere del suo sangue, indicandoci quale tipo d’unione aveva in mente, un’unione totale e sostanziale con lui e in lui, nella quale la sua stessa natura ed essenza si sarebbe fusa con la nostra fino a divenire una sola cosa con essa: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui.513 In questo modo la vita, il carattere, la sapienza, la giustizia, la santità che sono in lui si trasferiscono integralmente in noi come “pane della vita”, cibo spirituale, al fine di trasformarci e dar luogo a una nuova creatura rigenerata. “Il cuore della buona notizia è la nostra unione con Cristo e la nostra comunione con Dio. È l’arco di tutta la narrazione biblica e la verità centrale di tutto l’insegnamento della Bibbia sulla salvezza.”514

Quando parliamo d’unione con Cristo, sembra però ci si riferisca a qualche evento soprannaturale di estasi mistica riservata a pochi; invece, fu proprio Gesù a parlarne come di qualcosa assolutamente normale nella nostra relazione con lui; sono molti i suoi esempi, sia in termini metaforici, che in termini più espliciti:

 

Giovanni 14:20 In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me, e io in voi.

 

Giovanni 17:21-23 Che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno, come noi siamo uno; io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li hai amati come hai amato me.

 

Per gli Ebrei l’idea che uno spirito, o persino lo Spirito di Dio potesse entrare in una persona, o quantomeno scendere su di essa, era un fatto comunemente accettato, diversamente da quanto pensiamo in epoca moderna, dove il pragmatismo e il razionalismo hanno escluso tale possibilità, privandoci di un aspetto fondamentale della nostra esistenza. Sono molti gli esempi nella Bibbia in cui si parla d’inabitazione o influenza spirituale.515

Gesù, al pari dei suoi contemporanei, riteneva l’unione spirituale un fatto normale e non come di qualcosa di speciale riservato a pochi. Da un’attenta analisi del Capitolo 15 del Vangelo di Giovanni possiamo comprendere i dettagli di come quest’unione viene a realizzarsi:

 

Giovanni 15:4 Dimorate in me, e io dimorerò in voi…

Giovanni 15:7 Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi…

Giovanni 15:9 …dimorate nel mio amore.

Giovanni 15:10 Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore.

 

Possiamo dedurne che: “Io dimorerò in voi” è equivalente a “Le mie parole dimorano in voi”. “Dimorate in me” è invece analogo a “Dimorate nel mio amore”, che a sua volta consiste in “Osservate i miei comandamenti”, ovvero metteteli in pratica. In sintesi:

 

  • io dimoro in voi = le mie parole dimorano in voi
  • dimorate in me = osservate i miei comandamenti

 

In poche parole, Gesù stava dicendo che, se riceviamo la sua parola e la riteniamo nel nostro cuore, lui dimora in noi, e che se mettiamo in pratica i suoi comandamenti, noi dimoriamo in lui e portiamo molto frutto:

 

Giovanni 15:5 Colui che dimora in me, e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla.

 

Giovanni 15:8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli.

 

Questo processo è molto simile a ciò che abbiamo precedentemente chiamato identificazione; chi dimora in lui porta molto frutto, ovvero chi custodisce la sua parola e la mette in pratica, compie grandi opere e questa è la via per essere suoi discepoli e onorare Dio. Tutto ciò conferma quanto abbiamo già visto nei capitoli precedenti in merito al berith dell’amore e al discepolato. Come può avvenire tutto ciò? Avviene come nella parabola del seminatore: il seminatore è Dio, il quale sparge il seme (la sua parola) abbondantemente su ogni tipo di terreno (il cuore degli uomini); alcuni non lo accolgono affatto; altri lo accolgono ma non lo trattengo