Salvati dalla Sua Vita by Marco Galli - HTML preview

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CAPITOLO 17

FEDE, FIDUCIA O FEDELTÁ?

 

 

 

Egli è la rocca, l’opera sua è perfetta,

poiché tutte le sue vie sono giustizia.

È un Dio fedele e senza iniquità.

Egli è giusto e retto.

Libro del Deuteronomio 32:4

 

 

 

In questo capitolo affronteremo un tema cruciale per la salvezza, il tema della fede. Scopriremo che l’idea moderna di fede, influenzata dalla cultura ellenistica, è sensibilmente diversa da quella che caratterizzava il periodo in cui visse Gesù; tutto ciò che egli disse riguardo alla fede deve pertanto essere rivisto alla luce della cultura ebraica. Appariranno evidenti, tra le altre cose, alcune connessioni fondamentali con i concetti di peccato e di fedeltà al patto che abbiamo visto precedentemente. La riformulazione dell’idea di fede ha importanti ripercussioni sul processo della salvezza che ci riguardano da vicino. È necessario dunque prestare la dovuta attenzione a questo tema poiché, come scrisse l’autore della lettera agli Ebrei, senza fede è impossibile piacere a Dio.448 Vedremo infine quale significato assumono, alla luce di ciò, i concetti di discepolato e giustificazione.

 

 

17.1. Il significato di fede

 

Che cosa si intende per fede? Rispondere a questa domanda in modo corretto è d’importanza vitale, altrimenti si rischia di vanificare l’intero processo della salvezza. Gesù spesso rimproverò i suoi discepoli per mancanza di fede, al contrario lodò diverse persone, perlopiù pagani449 o Samaritani,450 per la loro grande fede. Ne consegue che, se vogliamo dirci veramente seguaci e discepoli di Gesù, dobbiamo comprendere che cosa egli intendesse quando usò questo termine, al fine di non essere qualificati come uomini e donne di poca fede.451 La definizione che la lingua italiana fornisce della parola fede è la seguente:

 

Fede: credenza piena e fiduciosa, che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive. In ambito religioso: il complesso delle proprie credenze, dei principi fermamente seguiti per cui si credono vere le cose rivelate da Dio, cioè i misteri soprannaturali e non dimostrabili.452

 

Possiamo notare, da questa definizione, che la parola fede viene normalmente considerata quale sinonimo di “credenza o convinzione”, tant’è vero che i Cristiani vengono spesso definiti i “credenti”. Al giorno d’oggi, avere fede consiste in un’adesione mentale a determinate dottrine o verità legate all’esistenza e all’opera di Dio e di Gesù Cristo. Quest’idea di fede, in termini d’accettazione intellettuale, deriva certamente dall’influenza del pensiero filosofico greco, fortemente razionalista. Sin dall’inizio i discepoli, dovendo integrare persone neo-convertite appartenenti a culture differenti, in particolare Greci e Romani, si scontrarono con questo problema, tant’è che l’Apostolo Giacomo affrontò apertamente la questione: “Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano”,453 poiché taluni ritenevano che il fondamento del cristianesimo fosse una mera questione di conoscenza intellettuale della verità o di credenza in merito a fatti inconoscibili; tale convinzione non è molto cambiata nel corso della storia:

 

La straordinaria ed eccentrica enfasi sul “credere” nel cristianesimo di oggi è un incidente della storia che ha distorto la nostra comprensione della verità religiosa. Chiamiamo le persone religiose “credenti”, come se l’accettazione di una serie di dottrine fosse la loro attività principale...454

 

Purtroppo, oggi molte persone si illudono di essere Cristiane solamente perché credono all’esistenza di Dio, o perché credono in ciò che Gesù fece. Ebbene, dai Vangeli apprendiamo, come sottolineato anche da Giacomo, che anche i demòni credono che Dio esista e che Gesù sia il figlio di Dio incarnato, ma questo non gli giova a nulla e tanto meno produce la loro salvezza.455 É necessario, pertanto, riconsiderare il nostro concetto di fede liberandolo dai condizionamenti della filosofia, e per fare ciò è necessario risalire al significato originario della parola ebraica.

 

 

17.2. Pistis ed Emunah

 

La parola che traduciamo con “fede”, nel Nuovo Testamento era rappresentata dalla parola greca “pistis”.456 Tuttavia, sappiamo che gli autori del Nuovo Testamento erano Israeliti di lingua ebraica; pertanto, il greco non era la loro lingua madre, ma era considerata la lingua internazionale, al pari di come può essere oggi l’inglese. Per poter rendere partecipi della rivelazione anche gli stranieri, decisero di adottare la lingua internazionale, ma così facendo dovettero sacrificare la ricchezza della loro lingua d’origine. Ogni qual volta utilizzarono la parola pistis, in realtà stavano pensando alla parola ebraica emunah457 che aveva un significato decisamente più profondo, che la lingua greca non era in grado di rappresentare. I Greci erano prettamente razionalisti, credevano nella centralità della ragione, nella dialettica e nella speculazione filosofica, quindi, le parole che utilizzavano erano impregnate di queste idee. Di tale situazione ce ne rende testimonianza anche Paolo, quando si recò ad Atene e riportò: “Tutti gli Ateniesi e i residenti stranieri non passavano il loro tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare novità.458 La parola greca pistis puntava anch’essa in quella direzione e cominciò a delineare la nascente fede cristiana come una credenza circa determinate dottrine su Gesù. Credere in quella verità, piuttosto che ad altre presunte verità, avrebbe costituito la base per la salvezza. Niente di più sbagliato. La parola emunah, vera sorgente della salvezza, aveva un’accezione ben più ampia; essa derivava dalla radice verbale aman il cui significato era:

 

Aman: costruire o sostenere; allevare come un genitore o una balia; figurativamente rendere (o essere) fermo o fedele, fidarsi o credere, essere permanente o tranquillo; moralmente essere vero o certo.459

 

Quando Dio, nel versetto che abbiamo visto in apertura del capitolo definì sé stesso “Un Dio fedele e senza iniquità”, o in un altro versetto “Il Dio fedele, che mantiene il suo patto e la sua bontà”,460 la parola utilizzata è aman quindi fedele, stabile, vero, leale, giusto, degno di fiducia, certamente non poteva significare “credente”. Il concetto espresso dalla parola aman è quello di costruire in maniera stabile, fondare la propria vita su determinati principi e rimanere fedeli e leali a essi, letteralmente “incollati”461 a questi, senza deviazione di sorta. Si fonda sulla fedeltà e si sostanzia con il costruire, con l’agire coerentemente ai principi affermati. Il peccato al contrario veniva inteso come “mancare il bersaglio”, un agire contorto, oscillante e instabile. È questo il concetto di fede a cui fece riferimento Gesù:

 

Matteo 7:24-27 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia. E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa, ed essa è caduta e la sua rovina è stata grande.

 

Se volessimo pertanto tradurre il concetto espresso da emunah in italiano, l’espressione più adatta sarebbe “fedeltà salda, fiduciosa e zelante”.462 Ciò che Gesù richiedeva ai suoi discepoli, quando li rimproverò di poca fede, era che avessero fiducia in lui e che si comportassero fedelmente rispetto alla sua parola mettendo in pratica tutti i suoi insegnamenti, affinché questi divenissero stabile fondamento di vita e li conducessero a un’esistenza giusta e ispirata all’amore; significava rimanere leali alla missione, ascoltando e mettendo in pratica tutto ciò che Gesù aveva comandato: “Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica.463

 

Ogni buon insegnamento religioso – comprese le dottrine cristiane come la Trinità o l’Incarnazione – è fondamentalmente un invito all’azione. Eppure, invece di essere istruiti ad agire creativamente sulla base di queste, molti cristiani moderni ritengono che sia più importante “credere” a esse.464

 

La mentalità ebraica era molto più propensa al “fare” piuttosto che al “credere” che, come abbiamo visto, caratterizzava invece la cultura greca. Persino Abramo, definito nostro padre nella fede, in realtà non sempre “credette” a Dio,465 nonostante ciò agì secondo le disposizioni del Signore, e gli rimase fedele senza mai piegarsi ad altri idoli.

 

Il giudaismo è emerso attraverso una lotta contro l’idolatria, esigendo fedeltà all’unico Dio, creatore dell’universo. Questa lealtà doveva trovare espressione in certi modi, preminentemente attraverso l’obbedienza alla volontà di Dio espressa nella Torah. Finché si esprimeva questa lealtà essenziale nella parola e (soprattutto) nell’azione, si cercava poco di indagare da vicino le dottrine che si dovevano affermare. Inoltre, il giudaismo si è sviluppato come una religione intimamente legata a una comunità distinta e spesso assediata. La fedeltà alla comunità era un ulteriore modo in cui si esprimeva la fedeltà a Dio e alla rivelazione di Dio. La lealtà a Dio, alla Torah e a Israele, quindi, è il segno distintivo dell’ebreo: il comportamento leale, non la teologia sistematica, è ciò che ci si aspetta e si richiede.466

 

 

17.3. La fedeltà al patto

 

Nei capitoli precedenti, abbiamo visto quanto fosse importante per gli Ebrei il concetto di patto e fedeltà ai giuramenti. Un giuramento di obbedienza era vincolante fino alla morte e si sostanziava nel fare tutto ciò che era stato comandato o promesso. Nasceva e si fondava sul riconoscimento della signoria di chi stabiliva l’ingiunzione, e l’obbedienza non era basata su un assenso o una comprensione mentale delle disposizioni, ma sulla totale fiducia e lealtà al signore che le imponeva. La emunah era un modo di conformarsi perfettamente a quanto richiesto, tant’è che ancor’oggi si dice che qualcosa è “copia fedele” quando imita esattamente e senza alcuna deviazione il modello originale. A causa di ciò, l’idea di essere imitatori di Cristo era molto diffusa nella prima Chiesa e affondava le proprie radici nel significato stesso di emunah, essere copia fedele; significava fare tutto ciò che egli fece e vivere come egli visse, questa era considerata la vera fede.467

C’è un’altra parola molto importante nella cultura ebraica ed è shema, che nella Bibbia viene tradotta con “ascolta”: “Shema Israel”, “Ascolta Israele”. Questa parola la troviamo ad esempio in Deuteronomio 6:4: “Ascolta, Israele: il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore” ed è l’apertura della preghiera più importante per gli Ebrei a tutt’oggi, chiamata appunto Shema, recitata due volte al giorno, mattina e sera; venne menzionata anche da Gesù: “Il primo di tutti i comandamenti è: Ascolta, Israele: il Signore, nostro Dio, è l’unico Signore.468 In realtà, il significato di shema non è semplicemente “ascolta”, ma è “ascolta e agisci”, in una parola, “obbedisci”. Lois Tverberg, studiosa della cultura ebraica, afferma: “La parola shema ha un significato molto più ampio e profondo di ‘percepire il suono’. Comprende un intero spettro di idee che include l’ascoltare, il prestare attenzione e il rispondere con l’azione a ciò che si è sentito.”469 Ancora una volta vediamo come, nella traduzione che rappresenta la nostra cultura occidentale, sia sufficiente “ascoltare”; dunque, apprendere con la ragione una determinata verità, mentre il concetto della parola ebraica sottintendeva l’agire conformemente alla verità ascoltata. Ci sono tutta una serie di verbi, utilizzati nella lingua ebraica, che richiedono un’azione conseguente, ma la cui traduzione italiana non è in grado di renderne il senso. Quando ad esempio il salmista prega il Signore dicendo: “ascoltami”, “guardami”, “volgiti”, “ricordati”, “rispondimi”, etc.470 non sta semplicemente chiedendo al Signore di attivare i suoi sensi, ma gli sta domandando di agire prontamente e risolutamente in suo favore. Parimenti, il credere non era un fatto meramente intellettuale, ma richiedeva il conformarsi con le azioni a ciò in cui si era creduto.

C’è un versetto biblico che viene invece usato, spesso a sproposito, per sostenere la tesi che sia sufficiente “credere” per essere salvati:

 

Romani 10:9 Perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato.

 

Tuttavia, se interpretiamo la prima parte del versetto sulla base delle tradizioni ebraiche, scopriamo che “confessare con la bocca” significava giurare solennemente, e “Gesù come Signore” voleva dire riconoscerne la signoria e accettare di obbedire a tutti i suoi comandamenti. Sostanzialmente si trattava di un giuramento di fedeltà e un’interpretazione più appropriata sarebbe: “Se avrai giurato solennemente fedeltà a Gesù come Signore, impegnandoti a obbedire a tutti i suoi comandamenti, e avrai posto fiducia nel fatto che egli sia vivente, sarai salvato”. Il credere è solo una parte, non è tutto il programma, c’è da obbedire fedelmente ai suoi comandamenti dopo aver creduto. Avere fede in Gesù significa rimanere leali a Gesù, non solamente credere in ciò che lui fece, ma soprattutto fare ciò che lui disse:

 

Quando leggiamo di “credere in Cristo” significava generalmente essere fedeli a lui. Questa fedeltà comprendeva lealtà, obbedienza e perseveranza. [...] Nella loro mente, essere fedeli a Gesù significava essere impegnati nel suo movimento, nei suoi insegnamenti, nel suo esempio e nella sua causa. Significava obbedire ai suoi insegnamenti e sforzarsi di vivere come lui aveva insegnato. Significava rimanere fedeli a lui e perseverare nel modo di vivere che lui aveva insegnato. Per i primi cristiani, vivere rettamente ed essere fedeli a Cristo erano la stessa cosa.471

 

Con questo direi che possiamo mettere una pietra sopra l’idea malsana che ha caratterizzato buona parte della storia cristiana, soprattutto negli ultimi secoli. Credere in Gesù Cristo non significa convincersi del fatto che egli sia esistito, che sia stato crocifisso e che Dio lo abbia risuscitato dai morti; di questo ne è convinto anche Satana. Credere in Gesù significa riconoscerlo Signore, essergli fedeli, ascoltare tutto ciò che disse, fare tutto quello che comandò, rimanere perseveranti nella sua parola e leali alla causa dell’amore. Significa fondare la nostra vita sui principi da lui predicati e obbedire ai suoi comandamenti, non semplicemente per l’esempio che diede, ma per il suo Santo Spirito che ci è dato, vive in noi e rende tutto questo possibile. Il resto è teoria, buona a sapersi, ma che non ha mai salvato nessuno se rimane fine a sé stessa.

 

 

17.4. Il grande equivoco della fede vs. le opere

 

Affrontiamo ora un argomento che è stato, sin dall’inizio, terreno di aspro dibattito e a volte di scontro, quello della salvezza per fede o per opere. La controversia nacque già ai tempi della prima Chiesa e fu affrontata principalmente da Paolo e Giacomo nelle loro lettere. Si è sempre ravvisato nell’impostazione paolina un’idea di salvezza unicamente per fede, mentre per Giacomo sembrava si trattasse di una questione di opere. In realtà, questo tipo di lettura è frutto di numerosi malintesi, vediamo il perché.

Paolo, in particolare nelle lettere ai Galati e ai Romani, si scagliò duramente contro l’idea che si stava diffondendo nelle Chiese, ovvero che fosse necessario, per la salvezza dei pagani, adempiere alla legge di Mosè, al pari degli Israeliti. Si noti bene che nelle sue lettere egli non stava parlando di opere buone ma di opere della legge, ovvero di adempimenti legalistici delle norme contenute nella Torah. Il problema sorse dal fatto che i primi convertiti Cristiani erano Giudei, praticanti la legge, molti dei quali, quando i pagani iniziarono a convertirsi, ritennero che anche quest’ultimi si sarebbero dovuti sottomettere alle pratiche ebraiche e alla Torah. In questo modo iniziarono a richiedere la circoncisione dei nuovi convertiti, l’astensione da certi cibi, le purificazioni, il rispetto di determinate festività, etc. Paolo si infuriò, specialmente contro la partica della circoncisione, poiché riteneva che la legge mosaica fosse ormai superata dalla legge dell’amore in Cristo, che era una legge spirituale di ordine superiore, la quale rendeva superflua la precedente. Tra l’altro, la vecchia legge, non era stata in grado di “creare” l’amore, ma era servita solo a delinearne i contorni e a mostrare il peccato, piuttosto che a donare la vita. Ciò che doveva condurre alla vita aveva prodotto morte a causa del peccato, ma tutto ciò era venuto a termine con la nuova legge dello Spirito. Pertanto, Paolo stava parlando delle opere della legge, ma qualcuno, andando oltre, si spinse a ritenere che la salvezza venisse solo dalla fede e che quindi i convertiti non fossero tenuti ad alcuna opera, ma soltanto a “credere”, cadendo in quell’equivoco di cui abbiamo discusso precedentemente. A questo punto intervenne Giacomo che sentenziò: “Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?472 In realtà, il conflitto tra ciò che sostenevano Paolo e Giacomo, era solo apparente, poiché i due stavano parlando di cose diverse:

 

Romani 3:28 Poiché riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge.473

 

Giacomo 2:24 Dunque vedete che l’uomo è giustificato per opere e non per fede soltanto.

 

Paolo, infatti, faceva riferimento alle opere della legge (circoncisione, sacrifici, purificazioni, etc.) mentre Giacomo faceva riferimento alle opere buone. Il presunto conflitto è risolto dal significato della parola emunah, che abbiamo visto essere una fedeltà salda, fiduciosa e zelante. Per grazia abbiamo infatti ricevuto la fede, ma questa stessa fede e fiducia in Gesù ci porta naturalmente a operare ciò che è bene, a compiere opere buone in accordo con la sua parola, ossia a essergli fedeli. Se in una persona che si dice “credente” non si riscontra alcun desiderio di compiere opere buone e di mettere in pratica ciò che Gesù ha insegnato, molto probabilmente quella persona sta ingannando sé stessa e la sua fede è inautentica, un mero esercizio intellettuale. Infatti, lo stesso Paolo predicava che le persone facessero opere degne del ravvedimento e che fossero perseveranti nel compiere il bene.474

Questo fraintendimento venne esacerbato da Lutero nel XVI secolo con il suo duro attacco alla salvezza per opere. In realtà, egli faceva riferimento alla pratica insensata della Supererogatoria e alla scandalosa vendita delle indulgenze da parte della Chiesa romana, che abbiamo trattato nella prima parte del libro, ma rimase comunque un sostenitore dell’importanza delle opere buone nell’ambito di una fede autentica. Leggiamo dalle sue stesse parole:

 

Una persona diventa cristiana non lavorando, ma ascoltando. Il primo passo per diventare cristiano è ascoltare il Vangelo. Quando una persona ha accettato il Vangelo, per prima cosa renda grazie a Dio con un cuore lieto, e poi si dia da fare nelle opere buone a cui tendere, opere che piacciano veramente a Dio, e non opere fatte dall’uomo e scelte da sé stessi.475

 

Tuttavia, il risultato fu che oggi, in molte Chiese, si pensa che per ottenere la salvezza sia sufficiente credere nella morte redentrice di Gesù e avere fiducia nell’opera da egli compiuta; e come disse Bonhoeffer, “la grazia a caro prezzo fu mutata in grazia a buon prezzo senza la necessità di seguire Cristo.”476 Credere in ciò che Gesù fece, dà fiducia, ma dopo aver creduto, serve impegno e perseveranza nell’obbedire ai suoi comandamenti (amare i propri nemici e pregare per quelli che ci perseguitano è arduo, tanto per fare un esempio); non possiamo riuscirci da soli, ma con l’aiuto dello Spirito Santo, questo diventa possibile. Non è salvezza per opere, è fondare la nostra vita sui suoi insegnamenti, perseverando nella fedeltà a essi; infatti, solo chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.477

In sintesi, una fede che non sia emunah, fedeltà salda, fiduciosa, zelante, responsabile, partecipativa e perseverante, non è una fede autentica, ma un’illusione. La salvezza e la giustificazione sono per “sola fide” come sosteneva Lutero, ma è una fede emunah, che agisce, non uno sterile assenso mentale. Inizia con il credere, ma è poi chiamata a operare nell’amore con fedeltà e tenacia, e a produrre buoni frutti; perché ogni albero che non fa buon frutto, viene tagliato e gettato nel fuoco.478

 

 

17.5. La giustificazione

 

All’opposto, possono le opere buone condurre alla salvezza? Possono i “non credenti” essere giustificati dalle opere che essi compiono? Questo è un tema molto difficile e controverso, tuttavia, vediamo nella Bibbia persone che agirono con fedeltà senza conoscere alcuna dottrina; pensiamo alla prostituta pagana Raab,479 al centurione romano Cornelio,<