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<<una delle malattie più diffuse è la diagnosi>>
Karl Kraus
Soffro di un'affezione progressiva che lesina sempre più significato alla
mia esistenza. Una malattia degenerativa per la quale non è stato trovato
ancora nessun trattamento e che mi porterà inevitabilmente alla morte.
Questa malformazione colpisce lo scheletro, i muscoli e gli organi.
Rallenta il cervello e indebolisce le difese immunitarie.
Gli organi si deteriorano, il sangue si sporca e la vista viene a mancare.
Tutta la forza e la mobilità si riducono fino ad annullarsi.
Mi hanno diagnosticato appena nato questa malattia, e la
consapevolezza di essa ha condizionato ogni attimo della mia esistenza.
Questa malattia è chiamata <<vita>>, e colpisce gli esseri.
La vera malattia è, in effetti, considerare la vita una malattia.
Sono un malato ma non lo sono per i sintomi descritti; lo sono perché
considero quei sintomi una patologia. Sono imperfetto perché mi ritengo
tale. Sono degente perché mi considero infermo.
La mia è una malattia mortale. E’ la malattia del nichilismo, la coscienza
di Schwäbisch.
Il mondo è visione schematica e ripetitiva entro limiti finiti.
Noi siamo lo schema che non sa cosa fare il sabato pomeriggio. Siamo il
frattale che dubita; le assi della struttura che si riflettono nelle loro
cromature.
Il mio pensare l’assoluto è l’auto-pensarsi dell’assoluto in me.
Siamo la coscienza dell’essere e ne siamo il dilemma. Siamo insieme la
sua malattia e la sua diagnosi.
Abbiamo paura perché Dio ha paura. Siamo la sua angoscia e il suo
smarrimento. Siamo il riflesso della sua solitudine.
Siamo il cancro dell’esistenza; il tumore che ha coscienza di sé. Siamo
la formula dell’inerzia; il software programmato per analizzare tutto, che
ha finito di analizzare tutto ed ora analizza se stesso. Siamo l’organo
somatizzante, la macchina delle deduzioni e delle volontà. Ma le nostre
deduzioni sono illogiche, le nostre volontà suicide.
Siamo il robot cassante che ha finito di pulire e si autoelimina.
Le cose esistono perché qualcuno gli ha dato un nome. La malattia esiste
in quanto esiste chi la rileva.
La consapevolezza è il problema e la sua soluzione. In noi che
l’abbiamo capito è la verità in quanto noi siamo la verità. Siamo lo
spirito che si rispecchia in sé, che si guarda, che non si comprende.
Siamo la nostra non comprensione perché è così che deve essere. Siamo
i nostri limiti e incompiutezza e l’errore del mondo.
Se nel mondo come rappresentazione la rappresentazione di Dio
coincide con la tua, sei forse tu Dio?
Essere Dio è comunque cosa che non allieta. Ciò che siamo è un Dio
triste e inesatto, un Dio angoscioso che non avrebbe problemi ad
impersonare altre parti. Un Dio per sentito dire, che soffre in solitudine,
che cambierebbe anche nome se solo gli offriste un po’ di soldi (o un
po’ d’amore).