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<<C’è un cerchio di domande che ha una grande circonferenza e nessun centro:
e quelle domande significano tutte: come devo vivere?>>
Robert Musil
Il borghese giudica suo figlio ancora piccolo per capire il mondo.
Il monaco biasima la condotta del borghese ritenendola frivola.
Il presidente crede di vivere a pieno il proprio tempo.
Il filosofo è convinto dell'utilità morale del suo agire.
Il padre del filosofo è un vecchio barbuto di cent’anni. Era un professore
di letteratura ma ha ormai dimenticato i libri che aveva letto un tempo.
Ora è sereno e culla suo nipote in fasce. Il vecchio non si cura più di
come vivere, aspetta solo la morte.
Vita estetica, etica o religiosa? Stoicismo, epicureismo, cinismo o
scetticismo?
La morale delle nostre storie è che non conta a quale cazzata scegli di
dedicare la tua vita. Non conta il tuo livello di consapevolezza.
Indipendentemente da quello che sei, indipendentemente da quello che
fai, la tua vita non ha senso alcuno.
C’è chi dedica il proprio tempo ad un ideale, chi ad un’istituzione, chi ad
una missione. C’è chi spende la sua esistenza ad accumulare rispetto, chi
ad accumulare denaro, chi ad accumulare piaceri.
Un uomo patisce il freddo e la fame per potersi permettere il leasing
della sua Ferrari; un altro si prende la pioggia per non far bagnare il suo
violoncello (o per farsi immortalare da Doisneau).
E’ umano spostare la passione verso altro da sé, in deroga anche
all’autoconservazione: l’amore incondizionato per un figlio, l’odio
viscerale per un nemico, la passione di un collezionista per i suoi
oggetti.
Gli uomini trasferiscono la loro energia sulle cose, cioè la disperdono
secondo termodinamica e legge di gravitazione dell’energia.
Gli uomini non si bastano. Un istinto o una condanna porta a riversare
pathos sul perennemente altro da sé, e quindi crearlo, per riempire con
azioni ed opere il vuoto di senso che avvertiamo in noi stessi.
Lavoriamo dieci ore al giorno per poter acquistare simboli che
giustificano il nostro lavoro e la nostra esistenza. Ma occorre sempre più
lavoro ed occorrono sempre più simboli.
Un abito firmato equivale alla tessera di un partito. L’apparire è essere.
Tutto è simbolo di status perché tutto è simbolo. Dicono: <<tu non sei il
tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la
macchina che guidi e i vestiti che indossi>> ma allora cosa cazzo sei?
Perché se Dio e la ragione e la materia e lo spirito sono morti, allora
cosa resta? <<Non resta nulla>> risponderebbe Demagogo, <<non sei
nulla>>.
Perché una vita dedicata all’annichilente routine in una fortezza ai
confini del deserto deve differire da un'esistenza dedicata all’arte, alla
letteratura, alla politica, al divertimento, alla religione, alla scienza,
all’amore o ai sogni?
E' la paura che ci fa costruire simboli per colmare il vuoto di senso che
ci pervade. E’ questa sete insaziabile che ci spinge a guardare fuori per
trovare sempre nuove giustificazioni, senza capire che ciò di cui
abbiamo bisogno è l'immotivato cercare in sé.
Capite cos’è il non-agire. Il non-agire non è lo starsene seduti immobili
per ore, o lo è. L’agire non-agendo è qualcosa al di là dell’azione e del
suo contrario. E’ qualcosa di razionalmente impossibile, ma tutt’altro
che irrealizzabile.
La comunicazione è ridondanza.
Le etiche esistono per riempire i nostri pomeriggi, e c’è un’etica diversa
per ogni linguaggio.
La comunicazione è un pleonasmo.
Le parole esistono per riempire le mie pagine e per prendervi in giro.