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Duchamp non ci ha insegnato nulla, per questo l’amiamo.
Duchamp ha poggiato i suoi pesanti ready-made sul pedale
dell’acceleratore esistenziale e ha ingranato la marcia. Ora il fatale
veicolo universale corre autonomo a tutta forza. Tu puoi saltarci a bordo
ed estasiarti, o tentare di fermarlo e farti investire.
Siete degli ingenui se pensate che Dada abbia distrutto l’Arte: Dada ha
distrutto i freni. Ed ora c’è una locomotiva lanciata a bomba verso
l’ignoto. A te decidere se cavalcarla o se lasciarti travolgere.
Con l’operazione <<Fontana>> (esporre un cesso in una galleria)
Duchamp ha fatto molto più che creare una nuova prospettiva su un
oggetto: ha creato una nuova prospettiva sull’arte e sui sistemi culturali
delle nostre società.
L’orinatoio rappresentava l’antitesi di ciò che poteva considerarsi
<<artistico>>, e la sua collocazione in un museo era letteralmente
inconcepibile. Tuttavia la proposta cognitiva di Duchamp è stata così
forte e di una tale superiorità concettuale da rendersi inattaccabile. Il suo
gesto si autoassolveva ponendo la sua ragione d’essere con tale potenza
da deviare le obiezioni sull’altro elemento della relazione impossibile: il
museo, l’arte, la grammatica culturale borghese.
Si è posto un segno (l’orinatoio) in palese contrasto col suo contesto (il
museo come istituzione culturale), ma la forza del segno è stata tale da
portare ad una rivoluzione inaudita dell’intero contesto. Il segno ha
posto se stesso assolutamente, e forte della sua autoproclamata raison
d'être ha portato alla distruzione del sistema che non era in grado di
accoglierlo ed assimilarlo.
E’ stata una rivoluzione copernicana dell’intera struttura culturale e dei
suoi maggiori gangli simbolici. Duchamp ha contribuito alla distruzione
dell’ultimo linguaggio e dell’ultima liturgia, dell’ultima religione
rimasta: quella laica dell’arte.
Duchamp non ha decontestualizzato orinatoi e scolabottiglie ma musei e
artisti; non ha cambiato significato ad una ruota di bicicletta ma ad una
prassi ed un sistema di valori. Le ruote di bicicletta dopo Duchamp non
hanno acquistato nessuna particolare valenza poetica, sono invece i
musei e l’ideologia che rappresentano ad aver perso tutte quelle che
avevano.
Da Duchamp in poi è divenuto palese: l’artista non ha altro tessuto da
colorare che quello sociale e non ha altra materia da scolpire che quella
antropologica.
Gli artisti concettuali invero sono sempre esistiti: erano santi, politici,
filosofi, guerrieri. Facevano performance, scrivevano coi loro corpi
direttamente nella storia.
Quella artistica è una categoria che gli antimetafisici definirebbero
<<magica>>. L’arte è l’arte di non credere ai cataloghi, alle antologie,
alle rassegne, alle celebrazioni, ai palchi e alle dottrine.
L’arte, in definitiva, è non credere alle mie stronzate, e non credere alle
stronzate di Duchamp.