Salvati dalla Sua Vita by Marco Galli - HTML preview

PLEASE NOTE: This is an HTML preview only and some elements such as links or page numbers may be incorrect.
Download the book in PDF, ePub, Kindle for a complete version.

CAPITOLO 11

LA TEORIE MODERNE

 

 

 

In questo capitolo esporremo brevemente alcune teorie e idee in merito alla salvezza che sono state formulate solamente negli ultimi due secoli, ma che stanno avendo un notevole impatto in ambito soteriologico. Dobbiamo sempre tenere in considerazione il fatto che, sebbene ci siano state alcune teorie largamente dominanti nel corso della storia, a queste si sono affiancate e sovrapposte altre idee, e le stesse teorie, cha abbiamo analizzato precedentemente, non sono state fenomeni a sé stanti, ermeticamente limitati a determinati periodi storici, ma si sono spesso mescolate le une alle altre. È pertanto necessario tenere un atteggiamento flessibile e aperto all’interpretazione, per poter apprezzare il dinamismo che ha caratterizzato tale dottrina che, a differenza di altre, non ha mai avuto un punto d’approdo definitivo, ma è a tutt’oggi in piena evoluzione. È auspicabile che si possa giungere in futuro a una teoria che possa essere la più fedele possibile alla verità dei fatti, così come avvenne ad esempio per la dottrina della Trinità, la quale fu terreno di acceso dibattito nei primi secoli del cristianesimo, ma che è oggi accettata dalla maggior parte delle denominazioni cristiane. Le teorie che andremo a esaminare brevemente sono le seguenti:

 

  1. Teoria Liberale (IXX sec.)
  2. Teoria Esistenziale (XX sec.)
  3. Il Dio Sofferente (XX sec.)
  4. Teoria della Sostituzione Morale (XX sec.)
  5. Teoria del Capro Espiatorio (XX sec.)
  6. Visione Femminista (XX sec.)
  7. Visione Caleidoscopica (XXI sec.)

 

 

11.1. Teoria Liberale – Friedrich Schleiermacher e Albrecht Ritschl

 

La teoria Liberale nacque sotto l’influenza del pensiero di Immanuel Kant176 e si diffuse principalmente come rifiuto della teologia scolastica basata sulla filosofia speculativa aristotelica, che aveva caratterizzato buona parte del secondo millennio. L’avvento al potere dell’intelletto, secondo tale teoria, è la causa responsabile della meccanizzazione della vita nonché del connesso impoverimento spirituale.177

Il padre della teoria Liberale può essere considerato Friedrich Schleiermacher,178 il quale sosteneva che Gesù ci conduce alla perfezione non tanto per quello che fa, quanto per quello che è, la suprema istanza della coscienza umana trasformata dall’unione con il divino. “Trasmettendo loro un nuovo principio vitale, il Redentore eleva i credenti alla comunione con la sua salvezza, e questa è la sua attività di riconciliazione.”179

Schleiermacher rifiutava le teorie basate sulla soddisfazione e riteneva la necessità di una punizione divina moralmente inaccettabile e inadeguata:

 

Non meno magico è il perdono dei peccati, se si suppone che la coscienza di meritare la punizione cessi perché la punizione è stata sopportata da un altro. Che in questo modo l’aspettativa della punizione possa essere tolta è concepibile [...] ma la coscienza di meritare la punizione rimarrebbe comunque.180

 

Il suo approccio si fondava principalmente sulla esperienza di trasformazione cui va incontro il Cristiano attraverso l’unione con il mediatore Gesù Cristo, in modo non dissimile dalla teoria dell’Influenza Morale, ma in maniera più profonda e articolata, che coinvolge non soltanto l’aspetto morale, ma anche quello propriamente organico. È l’unione totale con Cristo, fisica e spirituale.

Albrecht Ritschl,181 ispirato dal lavoro di Schleiermacher, purificò la dottrina della redenzione dalle presunte “corruzioni sacerdotali”, dai concetti di sacrificio e soddisfazione e ridefinì la redenzione in termini di libertà di collaborare in una connessione di virtù finalizzata al regno di Dio.182 La sua visione è basata sulla rivelazione della fede, solo attraverso la quale l’uomo può conoscere; in tal modo recupera la preminenza della fede sulla ragione. L’apparato delle idee giuridiche tipiche delle dottrine della soddisfazione viene rifiutato, mentre tutto è definito in termini di famiglia di Dio e di restaurazione della relazione familiare operata da Gesù, il quale trasmette tale relazione di appartenenza e fratellanza a tutti i fedeli.

 

 

11.2. Teorie Esistenziale – Rudolf Bultmann e Paul Tillich

 

Rudolf Bultmann183 si mosse oltre l’approccio della teologia liberale e propose un’interpretazione esistenzialista del Nuovo Testamento. Secondo Bultmann, soltanto la fede nel kerygma,184 nella proclamazione della buona notizia del Regno di Dio, è necessaria alla fede cristiana, non altri particolari fatti riguardanti la figura storica di Gesù. Bultmann compì un’opera volta a depurare gli scritti del Nuovo Testamento dalle componenti che lui riteneva mitologiche, tipiche del I secolo, e che rischiano di essere incomprensibili e alienare i Cristiani della nostra epoca. Il teologo sfronda la figura di Cristo da tutto ciò che appare straordinario, soprannaturale, insomma da tutto ciò che è, a suo giudizio, frutto della mentalità mitica degli autori del Nuovo Testamento. Vengono demitizzati non solo i suoi miracoli, ma anche la sua nascita virginale, la risurrezione e l’ascensione al Cielo. Di Gesù Cristo, Bultmann salva soltanto il messaggio, il kerigma. Per il teologo protestante, ciò è sufficiente, perché l’opera fondamentale di Cristo è l’annuncio del Regno di Dio. L’essenza del suo messaggio è, nella sostanza, un nuovo modo di comprendere l’umana esistenza. La parola di Dio chiama l’uomo a rinunciare al proprio egoismo e alle sue illusorie certezze, gli fa volgere lo sguardo al di là del mondo visibile e del pensiero razionale, lo interpella nella sua esistenza unica e irripetibile.185 Dio redime l’umanità per mezzo della proclamazione della croce; il significato redentore della croce, per Bultmann, non risiede in alcuna teoria “ascendente” del sacrificio o della soddisfazione vicaria, ambedue in odore di mitologia, ma nel giudizio “discendente” del mondo e nella sua liberazione dal potere del male. Il messaggio paradossale della salvezza tramite la croce desta nei suoi ascoltatori una risposta di sottomissione piena d’amore, che li fa passare da un’esistenza inautentica a un’esistenza autentica.186

Paul Tillich187 propone una teoria esistenziale simile: “La Croce non è la causa ma l’effettiva manifestazione del prendere su di sé, da parte di Dio, le conseguenze della colpa umana.” Come Dio partecipa alla sofferenza umana, così noi veniamo redenti, condividendo liberamente la partecipazione divina e permettendole di trasformarci.188 “La Presenza Spirituale eleva lo spirito umano nell'unione trascendente della vita senza ambiguità, e dà la certezza immediata del ricongiungimento con Dio.”189

 

 

11.3. Il Dio sofferente – Dietrich Bonhoeffer e Jürgen Moltmann

 

Nell’ambito della teoria Esistenziale, e in tema della partecipazione di Dio alla sofferenza umana come via per la salvezza, importanti contributi vanno riconosciuti a Dietrich Bonhoeffer190 e Jürgen Moltmann.191

Bonhoeffer vede, nella partecipazione di Dio alle sofferenze umane, l’esatto opposto di ciò che l’uomo religioso si aspetta; il religioso, infatti, attende un intervento di Dio dall’alto della sua onnipotenza al fine di rimuovere la sofferenza, Gesù invece prese parte alla sofferenza del mondo e, da questa posizione di debolezza, vinse il mondo. È solo in virtù di tale debolezza che Dio può essere con noi e aiutarci:

 

Dio si lascia spingere fuori dal mondo sulla croce. È debole e impotente nel mondo, e questo è precisamente il modo, l’unico modo, in cui è con noi e ci aiuta. Matt. 8:17 rende abbastanza chiaro che Cristo ci aiuta, non in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua debolezza e sofferenza. Ecco la differenza decisiva tra il cristianesimo e tutte le religioni. La religiosità dell’uomo lo fa guardare nella sua angoscia alla potenza di Dio nel mondo: Dio è il deus ex machina. La Bibbia [invece] indirizza l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. [...] il Dio della Bibbia, che conquista potere e spazio nel mondo con la sua debolezza. […] Questo è un rovesciamento di ciò che l’uomo religioso si aspetta da Dio. L’uomo è chiamato a condividere le sofferenze di Dio per mano di un mondo senza Dio.192

 

Allo stesso modo, l’uomo è chiamato non a uscire dal mondo, ma a condividere la sofferenza di Dio per mano di un mondo senza Dio, così come fu per Cristo. È la chiamata al discepolato, a essere imitatori di Cristo, a condividerne la sofferenza per essere luce del mondo e sale della terra. Solo in questo modo è possibile manifestare il vero uomo che Cristo ha creato in noi e divenire partecipi della sua vita:

 

Essere cristiano non significa essere religioso in un modo particolare, fare qualcosa di sé (un peccatore, un penitente o un santo) sulla base di qualche metodo o altro, ma essere un uomo – non un tipo di uomo, ma l’uomo che Cristo crea in noi. Non è l’atto religioso che fa il cristiano, ma la partecipazione alle sofferenze di Dio nella vita secolare. Questa è la metanoia: non pensare in primo luogo ai propri bisogni, problemi, peccati e paure, ma lasciarsi prendere nella via di Gesù Cristo.193

 

Per Moltmann, il Dio sofferente sulla croce è la perfetta manifestazione del Dio Trinitario. Partendo dall’analisi dallo sconcertante grido di Gesù “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”,194 egli immagina la croce come il luogo in cui diventa visibile la differenziazione e allo stesso tempo la comunione tra la prima e la seconda persona della Trinità. La croce, secondo Moltmann, non è la “morte di Dio”, ma “la morte in Dio”, dove il Padre consegna il Figlio alla morte e soffre la separazione, e il Figlio consegna sé stesso per noi, soffre l’abbandono e subisce la morte. È la “kenosi”, lo svuotamento di Dio, che si umilia per donare tutto sé stesso; non è un movimento di innalzamento dell’uomo, che è il fondamento di ogni religione, ma è l’assoluto abbassamento di Dio. Questa discesa è la suprema manifestazione dell’amore, il dono della vita per l’altro, in cui lo Spirito Santo, l’amore di Dio, che è la sua stessa vita, scaturisce dal suo intimo, allo stesso modo in cui sgorga il sangue che è la vita di Gesù, e unisce ciò che la croce aveva separato:

 

Nell’evento della croce si rende visibile quel movimento di consegna che eternamente avviene tra Padre e Figlio e che è eternamente generatore dello Spirito; nell’evento della croce l’uomo è inglobato in quell’evento stesso e diventa parte dell’eterna storia d’amore intratrinitaria. […] Nella croce di Cristo, dunque, ogni storia umana viene inglobata nella storia di Dio.195

 

Solo in questo istante di estrema differenziazione sulla croce, il Dio sofferente, nella persona di Gesù, può congiungersi con l’umanità sofferente; il Dio crocifisso e abbandonato si unisce a coloro che sono abbandonati affinché, nel momento in cui lo Spirito ridona la vita e ripristina l’unione divina in seno alla Trinità, coloro che sono uniti a Cristo nella morte riemergano con lui dall’abisso, ugualmente riempiti dalla vita di Dio. È questa, per Moltmann, la salvezza, la distruzione dell’uomo “incurvato su sé stesso”, l’unione con Cristo nella sofferenza, che dona all’uomo la vera vita e la capacità d’amare. È molto di più che il semplice perdono dei peccati, è una restaurazione della creazione:

 

La conoscenza di Dio nella sofferenza della croce di Cristo distrugge l’uomo che ha abbandonato la sua umanità, perché distrugge i suoi dei e distrugge la sua presunta divinità. Lo libera dalla sua disumana tracotanza, per ristabilire la sua vera natura umana. Rende l’“homo incurvatus in sé” di nuovo aperto a Dio e al suo prossimo, e dà a Narciso il potere di amare qualcun altro.196

 

Il limite della teoria proposta da Moltmann venne giustamente evidenziato da Hans Urs von Balthasar,197 per il quale il rischio è d’intendere l’evento della croce come il luogo in cui si adempie la Trinità, sarebbe a dire che Dio prende forma solo a partire dalla croce, all’interno della sua stessa creazione e per opera del male. La proposta di Balthasar, pur mentendo ferma la centralità della croce, presuppone invece un’eterna kenosi interna a Dio; la profondità dell’autodonazione del Padre, il quale si priva di tutto ciò che egli è per generare, nell’eternità, un Dio della stessa sostanza, il Figlio. Questo ci permette di guardare al Dio Trinitario non soltanto come a un Dio per noi, ma anche e soprattutto, come a un Dio con noi, che ci ama tanto da auto-umiliarsi per condividere le nostre sofferenze e questo perché “fin dall'eternità l’essenza di Dio è amore capace di soffrire, disposto al sacrificio, amore che si dona […] nella morte del Figlio si è svelato il cuore eterno della Trinità.”198 “Doveva esserci un Calvario nel cuore di Dio prima che fosse piantato sulla collina del Golgota.”199

 

È come se ci fosse una croce invisibile, in piedi sulla sua collina nascosta, lontano nei secoli, dalla quale risuona sempre la stessa voce profonda di amore sofferente e di pazienza, che fu udita da orecchie mortali dalla sacra collina del Calvario.200

 

 

11.4. Teoria della Sostituzione Morale – C. S. Lewis

 

C. S. Lewis, nel suo celebre libro Il Cristianesimo così com’è, indicava come non fosse necessario conoscere la “formula” della salvezza per poterne beneficiare; tuttavia, si soffermava a esporre, con la sua consueta lucidità e chiarezza, una sua idea che vale la pena considerare per il nostro studio e che mi sono permesso di chiamare “Sostituzione Morale”.

Secondo Lewis, l’umanità è caduta in un grosso “impiccio”; questo guaio consiste nel fatto che abbiamo voluto fare di testa nostra e comportarci come se appartenessimo a noi stessi, abbandonando in tal modo il giusto consiglio di Dio. Questo, oltre a metterci nei guai, ha fatto di noi dei nemici di Dio, portando alle tragiche conseguenze di cui siamo testimoni nel mondo. “L’uomo caduto non è soltanto una creatura imperfetta che ha bisogno di migliorarsi: è un ribelle che deve deporre le armi.”201 Se vogliamo aggiustare la situazione dobbiamo tornare sui nostri passi, arrenderci e chiedere perdono a Dio per la nostra superbia e arroganza; e questo è ciò che il cristianesimo chiama “pentimento”, una specie di morte del nostro ego, dell’orgoglio: “Vuol dire disimparare tutta la presunzione e la caparbietà cui da migliaia di anni siamo avvezzi. Vuol dire uccidere una parte di sé, subire una specie di morte.”202 Tuttavia, prosegue Lewis, solo una brava persona è in grado di pentirsi perfettamente e non ne ha bisogno, mentre una persona malvagia, avendone bisogno, non ne sarebbe in grado; abbiamo bisogno di umiliarci dinnanzi a Dio, ma ciò che lo rende necessario è esattamente ciò che ce lo impedisce. Potremmo invece farlo se Dio stesso ci aiutasse, ovvero se mettesse nel nostro cuore un briciolo della sua sapienza e del suo amore. Ma arrendersi, soffrire, umiliarsi, morire a sé stesso, sono tutte cose estranee a Dio, non sono presenti nella sua natura, sono cose che possiamo trovare solo nella natura umana:

 

Ma supponiamo che Dio diventi uomo: supponiamo che la nostra natura umana, che può soffrire e morire, si amalgami con la natura di Dio in un’unica persona: allora questa persona potrebbe aiutarci. Potrebbe rinunciare alla sua volontà, e soffrire e morire, perché è un uomo; e potrebbe farlo perfettamente perché è Dio. Voi e io possiamo compiere questo processo soltanto se Dio lo compie in noi; ma Dio può compierlo soltanto se diventa uomo.203

 

Gesù, facendosi uomo, si sottopose a quel processo di umiliazione e di morte, affinché potesse donarci, per mezzo del suo Spirito, quell’esperienza di cui necessitiamo; lui, che non aveva bisogno di alcun pentimento, si sottopose al processo al posto nostro, affinché noi potessimo riceverne il beneficio e assumerlo nella nostra vita.

 

Il vero Figlio di Dio è al nostro fianco. Comincia a mutarci in esseri del suo stesso genere. Comincia, per così dire, a “iniettarci” il suo tipo di vita e di pensiero, la sua Zoé; a mutare i soldatini di piombo in uomini vivi. La parte di noi a cui questo non piace è la parte che è ancora piombo.204

 

In conclusione, ho chiamato l’idea proposta da Lewis, Sostituzione Morale, poiché di fatto fonde l’aspetto sostitutivo con quello trasformativo morale, fornendo un quadro interessante, probabilmente ispirato dalla visione pietista205 e dalla teoria Liberale di Schleiermacher. Tuttavia, potrebbe essere questionabile l’ipotesi proposta da Lewis, secondo la quale Dio debba “imparare” a umiliarsi, prima di potercelo trasmettere.

 

 

11.5.1 La teoria del Capro Espiatorio – René Girard

 

La teoria del Capro Espiatorio venne proposta da René Girard206 nell’ambito dei suoi studi sociali e antropologici. Si tratta di un’idea nata in un’area di studi diversa e poi estesa all’ambito della teologia, specificamente per quanto attiene il tema della crocifissione di Gesù. Ci soffermeremo più a lungo su questa ipotesi, dato il grande impatto che ha avuto sulla teologia della salvezza negli ultimi decenni.

Per comprendere la teoria di Girard è necessario fare un passo indietro, ai presupposti sociali e relativi alla natura umana che sottendono al suo significato. In particolare, Girard fece riferimento a meccanismi che definì “mimetici”. Gli esseri umani, sostenne, sono creature che imparano e crescono attraverso processi di imitazione (da cui mimetismo), a partire dal bambino che apprende imitando i gesti e le parole degli adulti. Così, una volta cresciuti, i nostri desideri rimarrebbero guidati dal principio d’imitazione di determinati modelli comportamentali, sociali, estetici, etc. (lo sanno bene i pubblicitari), e poiché non sappiamo cosa desiderare, finiamo per imitare i desideri degli altri:

 

Una volta soddisfatti i propri bisogni primordiali, e talvolta anche prima, l’uomo desidera intensamente, ma non sa esattamente che cosa, poiché è l’essere che egli desidera, un essere di cui si sente privo e di cui qualcun altro gli sembra fornito.207

 

Fin qui non ci sarebbe alcun problema, senonché l’imitazione ci spinge a desiderare esattamente ciò che altri desiderano, accendendo competizione per ottenere quanto voluto e dando vita a quella che Girard definì “rivalità mimetica”. Tuttavia, come si può ben comprendere, la competizione genera tensioni individuali e sociali nei confronti delle persone e dei gruppi con i quali si compete e questo può portare a conflitti che minacciano le relazioni, l’ordine sociale e l’esistenza stessa delle comunità. L’uomo è pronto a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di raggiungere i propri obiettivi e la competizione, se non controllata, rischia di degenerare in una spirale di violenza, mettendo a repentaglio la pacifica coesistenza.208 Il ciclo può essere così sintetizzato:

 

desiderio imitazione → competizione → rivalità violenza spirale di ritorsioni distruzione

 

A questo punto interviene il meccanismo di compensazione del capro espiatorio, ovvero le parti in conflitto, per non distruggersi vicendevolmente, trovano un terzo soggetto o un gruppo sociale che viene accusato di essere la causa di ogni male, diventando il nemico comune contro il quale i rivali in competizione si coalizzano, per essere infine “sacrificato”. La frustrazione, la rabbia, la violenza che erano sottese nel conflitto mimetico e che rischiavano di esplodere mandando in frantumi la relazione, vengono scaricate su un soggetto estraneo al conflitto. In tal modo i contendenti si coalizzano, placano i propri istinti competitivi e violenti e possono trovare temporaneamente pace; una tregua transitoria, poiché il conflitto è sopito ma non risolto, solo rimandato. È chiaro che quanto più grave il conflitto, tanto maggiore e cruento dev’essere il sacrificio; si va dagli amici in competizione tra loro che si rappacificano spettegolando di un terzo amico, a nazioni che sterminano interi popoli o minoranze, accusandole di ogni nefandezza (si pensi agli stermini degli Ebrei, degli Armeni, dei Curdi, dei Tutsi, alla caccia alle streghe e agli immigrati, etc.).209 Viene pertanto messo in atto un ciclo alternativo:

 

desiderio imitazione competizione rivalità scapegoating210 tregua temporanea…

 

Il capro espiatorio è dunque l’alternativa (violenta) alla violenza cieca e incontrollata, a cui molte volte abbiamo assistito nel corso della storia umana.

E arriviamo alla teoria di Girard riguardo alla morte di Gesù. Secondo quanto esposto da Girard, Gesù fu giustiziato come perfetto capro espiatorio, per placare le tensioni esistenti tra i dominatori romani e il popolo ebraico e tra le varie classi sociali e religiose. Tali tensioni, se non mitigate, avrebbero potuto sfociare in eventi catastrofici per la collettività (così come effettivamente accadde nel 70 d.C., quando la nazione ebraica venne annientata dai Romani). Questa dinamica emerge in maniera particolarmente evidente durante una riunione del Sinedrio, tra i capi dei Sacerdoti e i Farisei, mentre discutevano del rischio di un conflitto con i Romani: “Che facciamo? Perché quest’uomo [Gesù] fa molti segni. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui; e i Romani verranno e ci distruggeranno come città e come nazione”, e il sommo sacerdote Caifa rispose: “Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione.211 Da questa discussione possiamo dedurre che Gesù venne scelto come capro espiatorio per rappacificarsi con i Romani ed evitare, in realtà rimandare, la distruzione della nazione ebraica. Dopo la sua esecuzione la pace tornò infatti a Gerusalemme; niente scontri o tensioni tra i vari gruppi sociali e religiosi o con i Romani e la Pasqua trascorse serena, tutti convinti del fatto che Gesù era la causa dei disordini.

Tuttavia, qualcosa non andò come previsto e, tramite la risurrezione di Gesù, Dio mostrò al mondo che il capro espiatorio, oltre a essere veramente chi diceva di essere, era innocente. La maschera cadde, il meccanismo della violenza mimetica fu rotto e gli