Salvati dalla Sua Vita by Marco Galli - HTML preview

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CAPITOLO 16

IL SACRIFICIO EBRAICO

 

 

 

Se sapeste che cosa significa:

“Voglio misericordia e non sacrificio”

non avreste condannato gli innocenti.

Vangelo di Matteo 12:7

 

 

 

In questo capitolo affronteremo un tema particolarmente controverso, quello del sacrificio, di cui è intrisa buona parte della narrazione biblica. È importante capire il significato che questa parola, e gli usi che erano a essa collegati, ricopriva per gli Ebrei e dunque anche per Gesù e i suoi discepoli, altrimenti corriamo il rischio d’interpretare il messaggio attraverso le lenti della nostra cultura, distorcendo in tal modo il significato originario che era inteso nel testo. Un’errata interpretazione può portare a gravi incongruenze, come successe nel Medioevo, quando, a causa dell’ignoranza e della stigmatizzazione della cultura ebraica, si procedette ad attribuire agli eventi relativi alla morte di Gesù un’interpretazione non supportata dal contesto storico e culturale della sua epoca. È fondamentale, dunque, per il nostro studio, riappropriarci di tutti quegli elementi che costituiscono le basi portanti sulle quali andremo a costruire l’edificio teologico della salvezza.

 

 

16.1. I sacrifici nella storia

 

La pratica dei sacrifici rituali offerti agli dèi affonda le proprie radici nella notte dei tempi; infatti, sin dagli albori della civiltà, l’uomo ha operato sacrifici di varia natura. Non vi è cultura o epoca dell’antichità che non abbia avuto queste consuetudini al centro della vita sociale e religiosa di ogni comunità. Il sacrificio si ritrova in forme molto simili in ogni angolo del pianeta, tanto che alcuni studiosi sostengono che tutte le società umane sono state fondate sui sacrifici. Renè Girard, ad esempio, riteneva che la pratica espiatoria sacrificale fosse la pietra angolare della società umana e di ogni religione.411 Nella Bibbia, il primo sacrificio di cui abbiamo un resoconto risale addirittura a Caino e Abele, ai primordi del genere umano; sta di fatto che non c’è stato un singolo momento nella storia dell’umanità che non sia intriso dal sangue delle vittime sacrificali.

Quale ruolo ricoprivano i sacrifici e per quale motivo tutti i popoli, in ogni epoca e a ogni latitudine, si sono dedicati a tali pratiche? Quali erano gli obiettivi che si volevano raggiungere? Possiamo sintetizzare le finalità dei sacrifici come segue:

 

  1. Onorare gli dèi per far sì che favoriscano l’esito in una determinata situazione, come ad esempio ottenere un buon raccolto o la vittoria in una battaglia;
  2. Placare l’ira delle divinità causata dal peccato degli uomini o da altri fattori esterni, al fine di scongiurare calamità naturali, carestie, epidemie, etc.;
  3. Ringraziare gli dèi per l’esito positivo nei suddetti casi in modo tale da pagare una sorta di corrispettivo per la buona riuscita e favorire la futura benevolenza, allo scopo di preservare l’ordine sociale e la sicurezza della comunità.

 

In ogni caso, la direzione del sacrificio procedeva dal basso (uomini), verso l’alto (dèi) e aveva un intento più o meno manipolatorio (persuadere, lusingare, rabbonire, comprare il favore, etc.) finalizzato a ottenere benefici di varia natura; è questo il fondamento di ogni religione. I sacrifici potevano essere costituiti da animali, ma anche da farina, olio, fiori, frutta, miele e cibi preparati. A volte, nei casi più efferati, potevano avvenire sacrifici umani, in particolare di schiavi, giovani vergini, bambini o addirittura neonati. La storia dell’umanità è stata dunque caratterizzata, per lunghi tratti, da inenarrabile brutalità; anche nella Bibbia si testimonia di violenze inaudite e disumane perpetrate ai danni di bambini che venivano gettati nel fuoco al fine di accattivarsi il favore degli dèi:

 

Geremia 32:35 Hanno costruito gli alti luoghi di Baal, che sono nella valle dei figli di Innom, per far passare per il fuoco i loro figli e le loro figlie offrendoli a Moloc, cosa che io non avevo comandata loro, e non mi era venuto in mente che si dovesse commettere una tale abominazione, facendo peccare Giuda.

 

Alcuni studiosi si sono spinti ad affermare che la necessità del sacrificio, in particolare il sacrificio di sangue, derivi da una certa tendenza sanguinaria celata nell’inconscio umano e dal conseguente senso di colpa che ne deriverebbe; il sacrificio funzionerebbe in tal senso come valvola di sfogo delle tensioni individuali e sociali. È partendo da questi presupposti, comuni a tutte le civiltà, che dobbiamo comprendere come il popolo ebraico già esercitasse pratiche sacrificali molto prima che queste fossero regolate nella Bibbia. In realtà, la legge data da Mosè, la Torah, semplicemente disciplinava i sacrifici e poneva dei limiti, in modo tale da evitare i casi estremi di cui sopra. Dobbiamo dunque comprendere che il Dio d’Israele, a differenza degli dèi pagani, non ha mai richiesto sacrifici, era piuttosto il popolo ad averne bisogno da un punto di vista psicologico e sociale; pertanto, nella legge si provvide a regolamentare questa prassi. Innanzitutto, venne proibita la pratica dei sacrifici umani, considerata da Dio un abominio. Dopodiché, attraverso i profeti, Dio iniziò a demolire l’idea stessa del sacrificio; si trattò di un vero e proprio cambiamento culturale che si protrasse lungo diversi secoli e che aveva come obiettivo quello di muovere il popolo d’Israele dalle pratiche sacrificali, tipiche delle ere primitive, verso comportamenti moralmente ed eticamente accettabili:

 

Geremia 7:21-23 Così parla il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: “Aggiungete i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! Poiché io non parlai ai vostri padri e non diedi loro alcun comandamento, quando li feci uscire dal paese d’Egitto, circa olocausti e sacrifici; ma questo comandai loro: ‘Ascoltate la mia voce; sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate in tutte le vie che io vi prescrivo affinché siate felici’.”

 

Michea 6:6-8 Con che cosa verrò in presenza del Signore e mi inchinerò davanti al Dio eccelso? Verrò in sua presenza con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà il Signore le migliaia di montoni, le miriadi di fiumi d’olio? Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto delle mie viscere per il mio peccato? O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?

 

1 Samuele 15:22 Samuele disse: “Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’ubbidire alla sua voce? No, l’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni.”

 

Salmo 50:9-14 Non esigo tori dalla tua casa, né capri dai tuoi ovili. Sono mie infatti tutte le bestie della foresta, mio è il bestiame che sta sui monti a migliaia. Conosco tutti gli uccelli dei monti e quel che si muove per la campagna è a mia disposizione. Se avessi fame, non lo direi a te, perché mio è il mondo, con tutto quello che contiene. Mangio forse carne di tori, o bevo forse sangue di capri? Come sacrificio offri a Dio il ringraziamento e mantieni le promesse fatte all’Altissimo.

 

Osea 6:6 Poiché io desidero bontà, non sacrifici, e la conoscenza di Dio più degli olocausti.

 

Isaia 1:11-14 “Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici?”, dice il Signore; “io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi vi ha chiesto di contaminare i miei cortili? Smettete di portare offerte inutili; l’incenso io lo detesto; e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni, io non posso sopportare l’iniquità unita all’assemblea solenne. L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite; mi sono un peso che sono stanco di portare.”

 

Amos 5:21-24 Io odio, disprezzo le vostre feste, non prendo piacere nelle vostre assemblee solenni. Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre offerte, io non le gradisco; e non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di riconoscenza. Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più sentire il suono delle tue cetre! Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne!

 

Appare evidente dai profeti, come Dio considerasse la pratica dei sacrifici inutile e insensata, e quanto gradisse invece l’obbedienza, l’umiltà, la giustizia, la misericordia e il pentimento sincero. Quindi giunse Gesù il quale dichiarò, in linea con i profeti, la futilità dei sacrifici agli occhi di Dio: “Voglio misericordia e non sacrificio!412 Questa visione risulta particolarmente evidente anche dagli autori del Nuovo Testamento, che iniziarono a utilizzare un linguaggio metaforico, il quale voleva discostarsi dalle pratiche sacrificali, sostituendole con una condotta morale improntata all’amore e alla giustizia: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale”,413 disse l’Apostolo Paolo e non voleva certo significare che avrebbero dovuto bruciare i propri corpi sull’altare, piuttosto era un’esortazione a condurre una vita integra e giusta, fedele ai principi predicati da Gesù:

 

I primi Cristiani si allontanarono radicalmente dalle idee di sacrificio letterale, spiritualizzando e moralizzando invece la nozione. Cominciarono a usare il linguaggio sacrificale per riferirsi a una condotta corretta, piuttosto che alla macellazione letterale degli animali. I Cristiani divennero il proprio tempio e i propri sacerdoti, e diedero a Dio “sacrifici” e “offerte” accettabili vivendo vite moralmente “pure” in obbedienza alla sua volontà.414

 

Per non lasciare spazio a ulteriori dubbi, Dio permise infine che il tempio di Gerusalemme, il solo luogo in cui era consentito agli Ebrei offrire sacrifici, fosse completamente distrutto dai Romani nel 70 d.C., e da allora cessò materialmente ogni sacrificio. È pertanto palese la parabola sulla quale Dio ha condotto, e sta conducendo l’intera umanità, per guidarla fuori dalla logica delle pratiche sacrificali che hanno contraddistinto millenni di storia:

 

Nelle culture dall’Asia, all’Europa, all’Africa c’è una progressiva e osservabile evoluzione dalle pratiche sacrificali violente verso una concentrazione sull’etica e una maggiore valorizzazione della motivazione spirituale dell’individuo, un processo che può essere chiamato spiritualizzazione: il sacrificatore “sacrifica solo in sé stesso”, dice un testo indiano, mentre i testi ebraici dicono che Dio vuole il sacrificio di un “cuore contrito” o il “ringraziamento” più che un “bue o un toro”.415

 

 

16.2. Il sacrificio ebraico – Korbàn

 

Abbiamo visto come le pratiche sacrificali siano sempre state un “peso” per Dio e che nell’ambito del processo di sviluppo del popolo d’Israele, egli abbia fatto in modo che venissero gradualmente superate. Queste pratiche, per molti secoli, furono invece intese come un servizio dovuto a Dio, trasformandosi in un inutile culto privo di senso. Nonostante ciò, furono al centro dell’azione religiosa e ricoprirono un ruolo fondamentale nella cultura ebraica, con la quale Gesù ebbe spesso a scontrarsi. Inoltre, il linguaggio utilizzato dagli autori del Nuovo Testamento era ancora impregnato da queste tradizioni, sebbene in maniera più simbolica. Pertanto, per comprendere cosa cercarono di comunicarci tali autori, dobbiamo conoscere quale fosse lo scopo dei sacrifici che venivano officiati, in modo tale da poter risalire al loro significato originario.

Il termine ebraico che veniva utilizzato per indicare il sacrificio era korbàn (al plurale korbànot) proveniente dalla radice qof-resh-bet, che significava “avvicinare”, e indicava lo scopo primario delle offerte: avvicinarsi a Dio. Già da questo, possiamo riscontrare una prima differenza con i sacrifici dei pagani, che miravano invece principalmente a manipolare la divinità al fine di ottenere benefici. Nella tradizione ebraica si distinguono cinque principali korbànot:416

 

Olah: olocausto [offerta ascendente o bruciata]

La classe di offerte più conosciuta è l’olocausto. Era il sacrificio più antico e comune e rappresentava la sottomissione alla volontà di Dio. Esprime il desiderio di entrare in comunione con Dio ed espia i peccati accidentali nel processo perché come si può entrare in comunione con Dio se si è contaminati dai peccati? [Lev. 1].

 

Zevach Sh'lamim: offerta di pace

Un’offerta di pace è un’offerta che esprime ringraziamento o gratitudine a Dio per le Sue benedizioni e misericordie [Lev. 3]. Il termine ebraico per questo tipo di offerta è zebach sh'lamim che è legato alla parola shalom, che significa “pace” o “completezza”. Questa categoria di offerte include le offerte di ringraziamento [Lev. 7:12], le offerte di libera scelta [Lev. 7:16] e le offerte fatte per l’adempimento di un voto [Lev. 7:30].

 

Chatat: offerta per il peccato o purificazione

Un’offerta per il peccato è un’offerta per espiare e purificare un peccato. È un’espressione di dolore per l’errore e un desiderio di riconciliarsi con Dio [Lev. 4 e 5]. Una chatat poteva essere offerta solo per peccati involontari commessi per disattenzione, non per peccati intenzionali e dolosi.

 

Asham: offerta di colpa o riparazione

Un’offerta di colpa è un’offerta per espiare i peccati d’infedeltà riguardo le cose da consacrare al Signore, quando non si è sicuri di aver commesso un peccato o quale peccato si è commesso, o per violazione della fiducia.

 

Minchah: offerte di cibo e bevande

Un’offerta di cibo minchah [Lev. 2] rappresentava la devozione dei frutti del lavoro dell’uomo a Dio, perché non erano un prodotto naturale, ma qualcosa creato attraverso lo sforzo dell’uomo. Aveva il significato di devozione e gratitudine a Dio per la sua bontà e benevolenza.

 

Lo scopo principale dei sacrifici era dunque quello di riavvicinarsi a Dio, esprimere contrizione, entrare in comunione con lui e ringraziarlo per la sua misericordia. L’offerta di carni scelte e delle parti prelibate rientrava nella tradizione, ancor oggi vigente nelle culture mediorientali, per le quali mangiare insieme e offrire la parte migliore a un ospite è un gesto di grande rispetto e desiderio di comunione. Ma per potersi avvicinare a Dio, era prima necessario purificarsi per mezzo del sangue dell’animale perché, come abbiamo visto nel capitolo precedente, il sangue era vita e l’impurità morte, quindi il sangue dell’animale, in quanto vita, poteva liberare dalla morte. Per questo motivo, il sangue veniva asperso su persone, luoghi, oggetti, paramenti sacri, utensili, etc., al fine di liberarli dall’impurità. Dunque, la carne offerta era una richiesta di comunione e il sangue asperso un rituale di purificazione.417 Tuttavia, i sacrifici potevano purificare ed espiare solo per gli errori commessi per disattenzione o per ignoranza della legge, che avevano portato la persona a contatto con l’impurità, mentre, se qualcuno avesse consapevolmente e intenzionalmente peccato, per riconciliarsi era chiamato al pentimento sincero (nel caso avesse peccato contro Dio) e al risarcimento della vittima tramite restituzione (nel caso avesse peccato contro una persona).418 Nessun sacrificio avrebbe mai potuto da solo espiare per i peccati compiuti consapevolmente:

 

Alcuni Qorbanot sono portati puramente allo scopo di comunicare con Lui e avvicinarsi a Lui. Altri sono portati allo scopo di esprimere ringraziamento a Dio, amore o gratitudine. Altri sono usati per purificare una persona dall’impurità rituale (che non ha necessariamente a che fare con il peccato). E sì, molti Qorbanot sono portati per scopi di espiazione. L’aspetto espiatorio delle Qorbanot è accuratamente circoscritto. Per la maggior parte, le Qorbanot espiano solo i peccati involontari, cioè i peccati commessi perché una persona ha dimenticato che quella cosa era un peccato. […] i Qorbanot non possono espiare un peccato doloso e deliberato. Inoltre, le Qorbanot non hanno alcun effetto espiatorio a meno che la persona che fa l’offerta non si penta sinceramente delle sue azioni prima di fare l’offerta, e non risarcisca qualsiasi persona che sia stata danneggiata dalla violazione.419

 

Un caso esemplare, che descrive quanto abbiamo appena visto, lo ritroviamo nel Vangelo di Luca, dove si narra di Zaccheo, un capo dei pubblicani,420 uomo molto ricco e corrotto, che quando incontrò Gesù lo accolse con gioia e gli disse: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo”. Così facendo, mostrò pentimento e desiderio di cambiare vita, risarcendo le vittime dei peccati da lui commessi; Gesù lo apprezzò molto e confermò che la salvezza era entrata nella sua casa.421 Chiare disposizioni in merito alle sanzioni e alla restituzione erano stabilite nella legge, in particolare ai capitoli 21 e 22 del libro dell’Esodo. Le offerte sacrificali avevano pertanto poco a che vedere con il perdono dei peccati; i sacrifici erano piuttosto una manifestazione esteriore di un cambiamento interiore e testimoniavano della volontà di un individuo o di una collettività di ritornare a Dio e di riconciliarsi con lui dopo essersene allontanati. Non ebbero mai il potere di esimere dalle conseguenze del peccato, tantomeno erano offerte a Dio come “prezzo” del peccato o risarcimento del danno. Sottolinea ancora Tracey Rich: “È importante notare che nel Giudaismo, il sacrificio non è mai stato il mezzo esclusivo per ottenere il perdono, non era di per sé sufficiente per ottenere il perdono, e in certe circostanze non era in alcun modo efficace per ottenere il perdono.”422 Solo la teshuva, voltare le spalle al peccato per fare ritorno a Dio con un cuore contrito poteva espiare: “Cambiate le vostre vie e le vostre opere423… tornate al Signore! Ditegli: ‘Perdona tutta l’iniquità e accetta questo bene; noi ti offriremo, invece di tori, l’offerta di lode delle nostre labbra.’”424

Dio, infatti, detestava i sacrifici e “le mani sporche di sangue” degli offerenti, ovvero mani che commettevano crimini e pensavano di poterli espiare attraverso sacrifici; ciò che richiedeva era invece un cuore umile, disposto ad ascoltare la sua voce e a cambiare modo di vivere: “Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici?425Gettate via da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato; fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d’Israele?426 Nel Vangelo di Luca, Gesù raccontò di un uomo, un pubblicano, che recatosi al tempio per pregare si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”. Ebbene quell’uomo, disse Gesù, tornò a casa giustificato; nessun sacrificio, niente olocausti, né sangue versato, solo sincero pentimento e un cuore contrito, e quell’uomo fu perdonato. “Stracciatevi il cuore, non le vesti; tornate al Signore!427

Per concludere, possiamo dire che i sacrifici servirono al popolo d’Israele e non certo a Dio, il quale non ne ha mai avuta alcuna necessità. I motivi sociali per cui furono consentiti, per un tempo, sono molteplici e permisero al popolo di superare certe resistenze psicologiche. Le finalità per cui furono istituiti possono essere così riassunte:

 

  • riavvicinarsi a Dio
  • riconciliarsi con lui
  • entrare in comunione con lui
  • ringraziarlo per la sua bontà
  • sentirsi purificati
  • sentirsi in pace

 

 

16.3. La purificazione dal peccato

 

Abbiamo visto che il sacrificio aveva, per gli Israeliti, l’obiettivo primario di riavvicinarsi a Dio e non era necessario per il perdono dei peccati, tuttavia, il sangue dell’animale era ritenuto indispensabile per la purificazione, ovvero per la rimozione degli effetti del peccato dalla coscienza. Nel capitolo precedente abbiamo sottolineato come il peccato fosse inteso diversamente da come lo intendiamo noi oggi, era infatti considerato una trasgressione della legge che portava l’uomo a contaminarsi con la morte. Questa “infezione”, malefica e mortifera, necessitava pertanto di essere “lavata via” dalla persona per poter essa tornare ad avere una relazione con Dio; con che cosa poteva essere vinta questa forza di morte se non con pari e opposta forza vitale? Molto semplicemente la morte poteva essere scacciata dalla vita, e la vita di una persona o di un animale era nel suo sangue, tant’è vero che, privato del sangue, qualsiasi essere vivente perirebbe.428 Quindi, il sangue era considerato la soluzione; cospargere un luogo, un oggetto o una persona con il sangue li avrebbe ripuliti dalla morte per mezzo della vita. L’uccisione dell’animale non era lo scopo, ma solo un mezzo per estrarre da esso il sangue e di conseguenza la vita che sarebbe servita per la purificazione. La parola ebraica utilizzata, tradotta nella nostra lingua con “espiazione”, ha in effetti un significato diverso da quello che gli attribuiamo oggi. Infatti, per noi “espiazione” significa riparazione di una colpa commessa e liberazione dalla stessa mediante la sopportazione della pena, ma il termine ebraico utilizzato, kāpar, significava invece “coprire”; si trattava di coprire i peccati che avevano contaminato l’uomo affinché venissero cancellati, rimossi dalla vista di Dio, in modo tale da potersi riavvicinare a lui. Tutte le volte che troviamo la parola kāpar nella Bibbia, sarebbe dunque più corretto tradurla con purificazione o riconciliazione piuttosto che con espiazione. Ancor’oggi, gli Ebrei continuano a celebrare lo Yom Kippur (da kāpar), il giorno della purificazione, come giorno più importante dell’anno, che ha come scopo quello di favorire la riconciliazione con Dio e tra gli uomini. Il teologo Carlo Molari, in un illuminante articolo sul significato del sacrificio, afferma:

 

Il significato simbolico del rito deriva dalla convinzione che il sangue fosse la sede della forza vitale comunicata da Dio, e che, inserito in un rito sacro, fosse l’ambito della sua azione salvifica. […] Il testo ebraico quindi assegna, senza ombra di dubbio, la funzione espiatrice [purificatrice] al sangue in quanto principio di vita. […] Il messaggio fondamentale quindi del sacrificio di espiazione ?